Carige: come si uccide una banca

È stato importante intervenire per tutelare i diritti dei clienti e delle imprese dopo la crisi di fiducia creato da un clima generale di allarme. Dubbi sulla statalizzazione dell’istituto

Con il blitz di un consiglio dei ministri notturno, il governo italiano ha dotato di garanzie statali le obbligazioni che la Cassa di Risparmio di Genova e Imperia offre alla Banca Centrale Europea al fine di ottenere liquidità per le operazioni. I depositi, infatti, si sono ridotti perché una parte dei depositanti hanno spostato altrove i loro risparmi.

Lo hanno fatto dubitando della solidità dell’istituto a seguito delle notizie allarmistiche diffuse dai media: la fiducia dei clienti è il patrimonio più prezioso, su di essa si basa la decisione di affidare i risparmi accumulati in vista di un obiettivo futuro, ad un istituto che può rendere più prossimo tale obiettivo grazie ai risparmi affidati da altri: un vero servizio sociale.

Da quanto si legge sui giornali le difficoltà di liquidità che hanno portato a questa situazione pare siano dovute al fatto che una parte dei suoi prestiti verso aziende ed imprenditori non sia stata restituita a seguito della crisi economica ed il loro valore non sia ancora stato recuperato dalla vendita dei beni dati in garanzia dei prestiti.

Una situazione normale per banche che non sono nel mirino dei media, che diventa invece critica se la banca vede i suoi depositi spostati altrove. Col risultato che la percentuale dei crediti in sofferenza, sul totale delle attività, sale oltre il consentito dalle regole bancarie europee, rendendo necessario aumenti di capitale della banca.

In questi casi, per definire tali aumenti è essenziale conoscere il valore effettivamente realizzabile dalla vendita dei beni in garanzia: valore molto diverso se si può vendere senza fretta o se invece la situazione tende a precipitare: in questi casi si è portati a vendite in blocco a prezzi stracciati, magari al 35 % invece che al 70 % del valore del prestito, a istituti che si occupano di questo lucroso settore di affari. Così però si distrugge una banca.

Ecco perché l’intervento del governo è stato tempestivo, perché riporta fiducia e elimina l’urgenza: non si può che essere contenti che alla fine il governo giallo verde, al di là di tutti i proclami da campagna elettorale, abbia capito che le banche sono un bene pubblico che va salvato, non tanto per i loro azionisti, quanto per salvaguardare i beni di coloro che alla banca hanno affidato i loro risparmi e di quanti la banca ha accompagnato nelle loro attività economiche.

In questi giorni più ministri hanno ipotizzato di fare della Carige una banca dello Stato: la banca è un servizio pubblico essenziale e renderla privata significa alzare i costi dei suoi servizi per assicurare un guadagno a chi ne ha acquistato le azioni.

Una volta le principali banche italiane erano pubbliche e sono state privatizzate, malgrado il conseguente aumento dei costi, essenzialmente per liberarle dall’ingerenza della politica: avendo il potere di nominarne gli amministratori, i partiti al governo pretendevano, come riconoscenza per gli alti stipendi per essi deliberati, che essi orientassero le attività delle banche in favore degli amici dei partiti.

In effetti, anche con la privatizzazione la situazione poi non è molto cambiata, perché le fondazioni bancarie che hanno sostituito la maggioranza dello Stato, a parte qualche caso felice, sono state anche esse soggette alla influenza della politica: si è passati dalla padella delle ingerenze dei politici nazionali alla brace delle ingerenze dei politici locali. La Carige ne è un esempio eclatante e molti dei crediti in sofferenza sono collegati a tali ingerenze.

Ormai la fondazione bancaria della Carige ha bruciato quasi tutta la sua quota azionaria e sono entrati come soci famiglie di importanti imprenditori locali. Personalmente penso che lo abbiano fatto proprio come un servizio alla città, che viene da un anno di grandi sofferenze. Quindi rendere adesso la Carige pubblica sarebbe uno schiaffo a loro ed alla città.

Questo tanto più se, come ha dichiarato il vicepresidente Di Maio, la si volesse usare come una specie di Cassa del Mezzogiorno, rendendola, soprattutto se governata da incompetenti, una nuova voragine per il denaro pubblico.

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