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Carceri: speriamo in un sussulto di umanità

di Aurora Nicosia

- Fonte: Città Nuova

Si è svolto a Roma il Giubileo dei detenuti. Un’ulteriore occasione per riflettere sulle criticità con un invito forte di papa Leone a non rimanere indifferenti. Il monito di Mattarella durante la visita a Rebibbia nei giorni precedenti

Il papa nella basilica S. Pietro per il Giubileo dei detenuti, 14 dicembre 2025. ANSA/FABIO FRUSTACI

Se c’è un posto dove la speranza è messa a dura prova, questo è il carcere. Non c’è speranza nel presente, nel futuro, nella possibilità di una vita migliore rispetto al passato segnato da vicende sicuramente travagliate. E dunque non poteva mancare, nell’anno del Giubileo della speranza, un appuntamento dedicato proprio a loro: a tutte le persone private della libertà. Già in apertura, lo scorso anno, papa Francesco aveva dato un segnale forte di attenzione recandosi personalmente ad aprire a Rebibbia una delle porte sante del Giubileo.

Nella bolla di indizione dell’anno santo, “Spes non confundit”, parlando di segni di speranza aveva scritto: «Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto». E aveva avanzato proposte concrete: «Propongo ai Governi che nell’anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi».

Ahimè, un anno dopo, tocca a papa Leone avanzare le medesime proposte, che non hanno ancora trovato ascolto presso le autorità competenti. E il rischio che si tratti di appelli che continuano a cadere nel vuoto è, purtroppo, molto forte, come accade da anni.

Prevost, ripercorrendo nella sua omelia gli appelli del suo predecessore, ricorda, tra il resto: «I problemi da affrontare sono tanti. Pensiamo al sovraffollamento, all’impegno ancora insufficiente di garantire programmi educativi stabili di recupero e opportunità di lavoro. E non dimentichiamo, a livello più personale, il peso del passato, le ferite da medicare nel corpo e nel cuore, le delusioni, la pazienza infinita che ci vuole, con sé stessi e con gli altri, quando si intraprendono cammini di conversione, e la tentazione di arrendersi o di non perdonare più».

Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non aveva mancato di fare un forte richiamo in tal senso. Recandosi a Rebibbia qualche giorno prima del Giubileo dei detenuti, aveva elogiato esempi virtuosi in atto nel carcere romano come in altri istituti penitenziari che consentono ai loro ospiti di non rimanere «isolati dal mondo esterno», perché, «come è doveroso», facciano «parte del mondo esterno, del mondo della nostra Repubblica».

Mattarella ha ricordato che «questo è l’anno, cinquantesimo, dell’Ordinamento penitenziario italiano, che è stato una svolta nella vita degli istituti penitenziari con il rifiuto e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, con la riaffermazione, ben costruita e ben disposta e raffigurata, obbligatoria, del fine rieducativo della pena. E anche del progetto e della missione degli istituti di costituire, prevedendole, opportunità di socializzazione». E se in tal senso bisogna ringraziare volontariato, associazioni e istituzioni che si adoperano perché questo avvenga, non si può ignorare, ricorda il presidente, «che non dovunque è così, che vi sono istituti che hanno una condizione totalmente inaccettabile, in cui non vi sono attività simili».

Hanno avuto, quindi, un importante significato gli eventi che hanno visto convergere a Roma circa 6 mila pellegrini (detenuti, con le loro famiglie, polizia e amministrazione penitenziaria, operatori delle carceri, volontari). E non solo dall’Italia, ma da 90 Paesi tra cui Madagascar, Polonia, Spagna, Portogallo, Guinea Bissau, Regno Unito, Filippine, Germania, Taiwan, Indonesia, Australia, Messico, Colombia, Brasile, Stati Uniti.

Tre giorni di appuntamenti aperti da un convegno dal titolo “Il diritto alla speranza nel cinquantennale dell’Ordinamento Penitenziario, nell’anno del Giubileo della Speranza e nel triduo del Giubileo dei Detenuti”, che si è tenuto presso l’Università LUMSA di Roma.

A seguire, presso la Fraterna Domus di Sacrofano, due giornate di studio, preghiera e confronto a cura dell’Ispettorato Generale dei Cappellani delle Carceri Italiane. Infine la messa nella Basilica di San Pietro con papa Leone e, nel pomeriggio di domenica, la commedia musicale Oltre le grate, a cura di CGS Life presso l’Auditorium Conciliazione.

Il Giubileo dei detenuti non finisce qui. Numerose associazioni attive nel mondo delle carceri (Acli, Antigone, Arci, Cgil, Confcooperative Federsolidarietà, Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia-CNVG, Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti-CNCA, Forum Droghe, Gruppo Abele, L’altro diritto, La Società della Ragione, Legacoopsociali, Movimento di Volontariato Italiano-MOVI, ⁠Movimento No Prison, Nessuno tocchi Caino, Ristretti Orizzonti) hanno lanciato un appello intitolato “Giubileo dei detenuti: chiediamo clemenza e umanità nelle carceri italiane”, attraverso il quale chiedono un provvedimento di clemenza che punti a ridurre il numero dei detenuti nelle carceri italiane.

«Di fronte a una realtà carceraria ormai fuori dalla legalità costituzionale ‒ dichiara Caterina Pozzi, presidente del Coordinamento nazionale comunità accoglienti ‒, il CNCA, assieme ad altre reti nazionali, con questo appello chiede un atto di clemenza che restituisca dignità e speranza alle persone detenute. Le parole di papa Francesco non devono restare inascoltate: serve una risposta concreta da parte delle Istituzioni. È il momento di assumersi la responsabilità di cambiare davvero. Umanizzare la pena significa aprire il carcere alla comunità e investire in percorsi di reinserimento. Il CNCA con la sua esperienza di tanti anni a fianco di persone detenute è pronto a fare la sua parte attraverso percorsi di reinserimento sociale e lavorativo, progetti di housing territoriale, comunità di accoglienza e percorsi di giustizia riparativa».

E dà appuntamento a Roma, il 6 febbraio 2026, all’assemblea pubblica: l’invito è per tutti coloro che vogliono dare il proprio contributo a cambiare, una volta per tutte, questa drammatica situazione.

Il Giubileo si chiude, ma l’impegno continua.

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