Caravaggio, quale è il vero Matteo?

Una nuova interpretazione della famosa opera del Caravaggio che ci avvicina a comprendere l’arte così profondamente umana dell’artista, autentico pittore dell’Incarnazione del messaggio evangelico
Caravaggio , vocazione di Matteo, foto Wikipedia

Il 2021 è l’anno caravaggesco. Michelangelo Merisio detto il Caravaggio è infatti nato a Milano proprio 450 anni fa. C’è tutto un movimento per celebrarlo, anche se in verità il pittore è così noto al grande pubblico – non ultimo il servizio di Alberto Angela in Rai (discutibile tuttavia su alcuni aspetti, nonostante la nota chiarezza espositiva) – che forse ci sarebbe bisogno di una autentica riscoperta che sfrondasse i troppi luoghi comuni sull’artista “maledetto”. Si annunciano convegni, mostre, un film diretto da Michele Placido con protagonista Riccardo Scamarcio (?).

Ma l’opera più nota dell’artista – riprodotta infinite volte – è la Vocazione di Matteo, che si trova nella cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma. Ogni anno la visitano milioni di turisti, oggi in piena pandemia, ben pochi, ma un soggiorno, per chi può, è sempre rivelativo, emozionante. Il motivo è semplice. La grande tela emana il fascino delle vere opere d’arte, e il loro mistero. Si sa che fu commissionata dagli eredi del  cardinale francese Contarelli per il giubileo del 1600 e ciò spiega parecchio del contenuto e dello stile.

Siamo, infatti, negli anni della Riforma cattolica dopo il concilio tridentino, che risponde a quella protestante enfatizzando la verità della chiesa romana e facendo di Roma il cuore di una campagna di evangelizzazione affidata non solo alle prediche o alle cerimonie religiose, ma all’arte: la capitale diventa un centro di irradiazione culturale ed artistica di portata europea, che voleva dire mondiale. In questo contesto si situa la tela caravaggesca.

La scena della Vocazione è in apparenza semplice. In un luogo chiuso, una finestra sbarrata, una taverna o un magazzino un gruppo di uomini siede attorno ad un tavolo, dove un giovane arruffato conta dei soldi mentre un vecchio osserva con gli occhiali. Il giovane tiene anche un borsa nascosta sotto il tavolo (la sua “percentuale” dalle tasse?). Ci sono altri due giovani dandy: uno si appoggia ad un uomo maturo con la barba, l’altro è curioso, perché è entrato improvvisamente un nuovo personaggio, inatteso. È Cristo, magro, che schiude la bocca, dal gran manto rosso sul fascio di luce che emana da lui. Chiama con la mano, chi?

La tradizione pensa sia l’uomo barbuto che pare indicare sé stesso, quindi sarebbe Matteo che secondo il vangelo si alzerà subito a seguire il Messia. La “chiamata” è improvvisa, nel quotidiano di sempre, energica, non si può che seguirla immediatamente. Cristo chiama dove, quando, e chi vuole.

Eppure esiste un’altra interpretazione, messa a fuoco negli ultimi anni, molto perspicace. Ne parla in un testo prezioso, documentatissimo, la storica d’arte Sara Magister (“Caravaggio, il vero Matteo I capolavori per San Luigi dei Francesi a Roma Storia e significato”, Campisano editore, Roma 2018).

Non sarà che Matteo sia invece il giovane a testa bassa che conta i soldi mano nella mano con il vecchio? E l’indice dell’uomo barbuto non indicherebbe proprio lui a Cristo che  lo cerca?

La chiamata allora arriva – la luce della grazia entra con Cristo stesso – inattesa, ma il tempo della risposta deve aspettare quello della recezione. Matteo deve alzare la testa e guardare il Messia, lasciarsi prendere tutto dalla sua luce che per ora gli va bagnando le mani e la manica del vestito.  Il “subito” allora sarebbe da intendere come uno spazio temporale-psicologico necessario per accettare una chiamata. Ipotesi fascinosa, anche perché il pittore, dalle radiografie, è noto che ha reso meno energico il gesto del Messia, facendolo più disteso, calmo e dolce.

Se si pensa che, all’epoca del dipinto, la cappella era meno scura e molto illuminata da una finestra, e quindi irrorava luce sui colori, si comprende meglio la scelta di individuare Matteo nel giovane che, senza accorgersene, si va abbagliando da un Cristo che passa dappertutto e in ogni tempo a “chiamare”, rispettando la libertà di ciascuno.

È la potenza del messaggio evangelico e di un’arte così profondamente umana, che capisce l’uomo che rende Caravaggio- ben oltre ogni approccio romanzato – un autentico pittore dell’Incarnazione, della passione divina per l’uomo e con l’uomo. Vale la pena riscoprire questa cappella.

 

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