Il caos attuale e la guerra in Libia del 2011

Il conflitto voluto fortemente dalla Francia di Sarkozy è all’origine della forte instabilità odierna. La responsabilità dei governi italiani e le sfide attuali secondo il direttore del Programma sicurezza e difesa dell’Istituto affari internazionali. Intervista al professor Jean Pierre Darnis  
AP Photo/Michel Euler

Nell’editoriale su cittanuova.it del 5 luglio 2017 Michele Zanzucchi mette in fila, senza fare sconti e sollecitando un risveglio delle coscienze, tutte le ipocrisie che accompagnano la questione epocale dei migranti. Tra le finzioni più eclatanti c’è quella di «pensare che la Libia possa avere un governo unico ed efficace nel controllo degli accessi al suo deserto, quando noi europei (Sarkozy e Cameron in testa) abbiamo creato l’attuale anarchia con gli scellerati bombardamenti del 2011 e continuando a sostenere i vari contendenti a seconda delle convenienze dei singoli Paesi dell’Unione». Senza scordare che la Corte penale internazionale dell’Aja sta indagando sulla guardia costiera libica, destinataria di mezzi navali italiani, per «crimini contro l’umanità».

Città Nuova è stata tra i pochi mezzi di informazione che ha criticato fortemente l’intervento militare in Libia del 2011. Un evento spartiacque che mettiamo a tema del nostro dialogo con Jean Pierre Darnis, direttore del Programma sicurezza e difesa dello IAI (Istituto affari internazionali). Prima di diventare professore associato all’Università di Nizza Sophia-Antipolis ha insegnato all’École Militaire Supérieure, all’Università di Saint Etienne, alla Luiss di Confindustria e all’Istituto di studi politici di Parigi.

Considerando il caos persistente in Libia e la tragedia dei migranti che passano per quella rotta, non le sembra che il conflitto voluto dal presidente francese Sarkozy nel 2011 sia stato del tutto ingiustificato e controproducente?

La primavera araba è scoppiata in Tunisia nel 2011. Si è poi diffusa in vari Paesi, inclusa la Libia. L’intervento francese, pur criticabile, avviene quindi dopo lo scoppio di una forma di guerra civile che stava creando instabilità. Dal 2011 in poi gli italiani, che hanno partecipato a quest’intervento con una notevole azione di bombardamento, non hanno mai smesso di criticare a posteriori quest’intervento. La responsabilità eventuale del governo Berlusconi (con ministri La Russa e Frattini) va quindi esaminata se uno vuole fare della politica fiction. Si tratta di uno sforzo però,  secondo me, inutile. Nel 2013, per arginare i pericoli nel Sahara e particolarmente nel Mali anche a seguito dell’implosione della Libia, la Francia (presidenza Hollande) ha creato un dispositivo di contro terrorismo (operazione Barkhane). Ha chiesto ripetutamente aiuto ai partner europei. 

Cosa ha risposto l’Italia ?

Il governo italiano (governo Monti) ha rifiutato l’invio di aiuti, anche logistici. Questo rifiuto si è poi verificato di nuovo con il governo Renzi nel 2016, quando al seguito degli attentati del Bataclan la Francia ha chiesto aiuto ai suoi partner europei per poter impegnare le sue truppe all’interno e fronteggiare la minaccia terroristica. È del tutto ingiustificato e controproducente che, dopo un giudizio negativo sulla presidenza Sarkozy, questo giudizio italiano si sia poi applicato alla presidenza Hollande con il rifiuto di contribuire, anche in funzioni di sostegno, allo sforzo di stabilizzazione nella zona del Sahel/Sahara. Ha creato e crea oggi una differenziazione problematica, quella tra una Francia alle prese con la lotta al terrorismo nell’Africa sub-sahariana e un’Italia impegnata a gestire i contraccolpi dello sfascio della Libia.

Che tipo di intervento considera necessario in quell’area?

Soltanto una visione d’insieme di sicurezza regionale, con una forte presenza europea, può portare ad una soluzione convergente. Quest’elemento è stato senz’altro colto dai tedeschi, che hanno aumentato la loro presenza militare in Mali e danno un aiuto solido ai francesi. Se l’Italia vuole avere maggiore voce in capitolo, per poter giustamente chiedere reazioni collettive per trattare queste emergenze, deve operare una saldatura operativa con Francia e Germania sull’Africa nel suo insieme. E magari guardare al futuro senza perdersi nelle colpe a posteriori dei governi Berlusconi e Sarkozy, associati nell’intervento del 2011. Ad esempio l’iniziativa del G5 Sahel andrebbe sostenuta con vigore, anche da parte dell’Italia.

 

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