Canova a Napoli

Fino al 30 giugno. Una mostra da non perdere per conoscere il genio del neoclassicismo, il suo tocco geniale e personale. La vita come luce, il marmo come espressione di amore celeste

È bello trovare Antonio Canova e i suoi marmi, i gessi, i dipinti, e i bozzetti nel Museo Archeologico di Napoli. Tra le opere dell’antichità, nella loro fiorente bellezza, c’è l’eco di un armonia arcaica che non è mai morta, perché è dentro ciascuno di noi. La grandezza dell’intuizione, dell’ispirazione e quindi dell’arte di Canova sta nell’avere proprio compreso questo. Perciò è diventato il genio del Neoclassicismo. Inteso  non come copiatura dell’antico in forme fredde e composte, ma come colui che nella classicità trova fonte di ispirazione per una poesia delicata e vitale, che ricorda i dipinti del Tiepolo ma senza la loro grondante fisicità, bensì come armonia  di sentimenti nobili, sensibili e forti.

Ecco perché i marmi del Canova stanno bene tra quelli dell’antichità.  Da San Pietroburgo sono arrivati a Napoli alcuni capolavori: l’Amorino alato, l’Ebe, la Danzatrice con la mani ai fianchi, il Genio della morte,  la Pace – alta quasi tre metri – ,  Amore e Psiche stanti e le Tre Grazie.

Si capisce che un poeta come Foscolo fosse innamorato delle Tre Grazie. L’intensa armonia dei tre corpi e dei tre volti formano una sorta di trinità della bellezza allo stato puro. La grazia, pensata come sublime perfezione umana e spirituale, scorre luminosa nelle tre statue e nell’intreccio delle mani le fa un corpo solo. E’ una musica flessuosa che ricorda certe arcate melodiche di Rossini, contemporaneo dello scultore, che si alzano e ricadono su sé stesse con “grazia”. Si resta sbalorditi di fronte ad un lavoro dove una forma mitica diventa pura forma dello spirito. Ma non uno spirto astratto e incorporeo, bensì vivente. Le opere del Canova hanno infatti il fascino della vita.

Vediamo Amore e Piche stanti: è l’amore adolescenziale quello più innocente e casto. Il dono reciproco di una farfalla tra i due ragazzi racchiude tutta la squisitezza dei primi incontri d’amore. I corpi sono teneri, è carne viva, ma quanta delicatezza nel marmo: il palpito di vita che vi scorre è indimenticabile.  Nessun eccesso sensuale in Canova, ma sentimento, eleganza ed un ritmo che sostiene un pensiero amoroso. C’è qualcosa di”greco”, di sublime (sub – limen, oltre la soglia) in questi marmi, come l’Ebe danzante su una nube, qualcosa di apollineo che Canova fa rivivere. Ma con il suo tocco geniale e personale: la vita come luce, il marmo come espressione di amore celeste.

Non ci sono solo sculture nella rassegna. Le 34 tempere classicheggianti dell’artista, ora restaurate, brillano dei colori “pompeiani” che le hanno ispirate, come i disegni dove lo scultore riviveva e studiava le opere antiche come I Tirannicidi, l’Ercole Farnese, il Paride di Capua. Sono ben 110 i lavori canoviani in mostra.

Alla fine, è opportuno soffermarsi davanti alla Maddalena penitente. L’opera del cuore di Canova che sbalordì i parigini nel 1808 e lo fece chiamare “il nuovo Fidia”. Era qualcosa di miracoloso: commozione e fede, carne e spirito, religiosità sobria e delicatezza umana, unite nella forza del dolore, composto con inaudita dignità e bellezza formale. È il cuore di Canova, la spia del suo animo gentile e riservato. Si direbbe: immacolato.

Una mostra da non perdere assolutamente.

Fino al 30. 6 (catalogo Electa)

 

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