Campagna elettorale al via

E’ auspicabile un confronto serio fra le diverse proposte politiche, incentrato sui problemi reali del Paese. La priorità va data ai più deboli. I Rapporti annuali pubblicati dai diversi istituti di ricerca dipingono un Paese che fa fatica ma lo "sviluppo è fatto da popolo e Governo insieme" come ricordava Aldo Moro. Commenta
Manifestazione davanti a Montecitorio

E’ partita la campagna elettorale. Prepariamoci: ci attendono due mesi caldi, di fuoco. A tutti i partiti (proprio tutti) sentiamo di dover rivolgere tre richieste:

Concretezza e verità. Per favore: niente demagogia, niente populismo. Niente sceneggiate, niente slogan, annunci ad effetto, promesse che sapete bene di non poter mantenere. Il confronto fra di voi sia serio e fondato su programmi chiari, indicazione di obbiettivi effettivamente raggiungibili e di impegni di governo che siano supportati dall’individuazione delle risorse reali disponibili.

Vogliamo leggere agende programmatiche sobrie (sobrie perché davvero attuabili), con pochi punti qualificanti e priorità ben esplicitate. Il Paese reale è in stato di grande sofferenza, e non è disponibile a lasciarsi abbindolare da luminarie e giochi d’artificio.

Lealtà e rispetto. Per favore: siate leali e rispettosi dei vostri competitori. Mettete al bando il modello stantio delle campagne elettorali “contro”, incentrate sulla delegittimazione/denigrazione degli avversari: non parlateci del negativo degli altri (i loro difetti – ed anche i vostri – siamo in grado di riconoscerli da soli, laddove ci siano); diteci piuttosto chi siete voi (i vostri valori di riferimento), dove volete portare il Paese (la vostra visione della società), come vi proponete di portarlo fuori dalla crisi (i vostri concreti progetti di governo).

Il Paese reale (sì, sempre quello che sta agonizzando) vuole assistere ad un confronto serio fra le differenti proposte programmatiche; dialettico, vivace quanto si voglia, ma dialogico e costruttivo, che aiuti a discernere ‘per chi’ e non ‘contro chi’ votare. Il parlarsi addosso, l’insulto gratuito, la rissa – favoriti dai cosiddetti ‘moderatori’ dei talk-show televisivi (che sarebbe più congruo definire ‘aizzatori’) – non attirano più nessuno. Non è affatto vero che lo ‘scorrere del sangue’ faccia salire ‘share’ e ‘auditel’. Non provateci più, allora: perché cambieremo canale.

Cosa ci interessa sentire. Soprattutto. Per favore: diteci quale futuro, chi si candida a governare, prospetta alla porzione più debole del Paese. Perché il presente è ben noto. Drammaticamente noto.

Diversi e autorevoli Rapporti annuali recentemente pubblicati certificano scientificamente la situazione difficile del nostro Paese. Quello della Banca d’Italia sul reddito delle famiglie italiane ci spiega che la distribuzione della ricchezza è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione: molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza; all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata. Il 50% delle famiglie italiane più povere detiene circa il 10% della ricchezza totale, mentre il 10% delle famiglie più abbienti detiene circa il 50% della ricchezza complessiva.

Il Rapporto della Caritas italiana fotografa il fenomeno della povertà e dell’esclusione sociale nel nostro Paese, evidenziandoi profili delle persone che si sono rivolte ai Centri Caritas e aiutandoci a capire come la crisi stia fortemente incidendo sulle vecchie povertà, facendone nel contempo emergere di nuove.Non si tratta di freddi dati statistici, madi storie e volti incontrati ogni giorno. Una "povertà ordinaria" che si aggiunge ai fenomeni di grave emarginazione già emersi in precedenza.

Il «bisogno» rappresenta una o più situazioni di difficoltà in cui una persona viene a trovarsi in un determinato momento della propria vita. La difficoltà può nascere da situazioni occasionali (ad esempio la perdita di un familiare), può essere cronica o manifestarsi in modo continuativo nel tempo. Quest’anno, il problema-bisogno più frequente degli utenti della Caritas è stato quello della povertà economica (26% del totale), seguito dai problemi di lavoro (22,9%), e poi da problemi abitativi, di salute o legati all’immigrazione. A questi bisogni occorre che la politica presti attenzione e dia risposte concrete.

Dal canto suo, il Rapporto Istat rileva comela disuguaglianza sia aumentata in molti paesi avanzati, ivi compresa l’Italia. E precisa come occorra innescare una relazione positiva fra equità e crescita; non commisurando l’equità unicamente in termini di distribuzione del reddito, ma soprattutto rispetto alle opportunità che vengono offerte dal sistema socio-economico. Distinguendo al suo interno la componente di genere, quella intragenerazionale e quella intergenerazionale, senza dimenticare le disuguaglianze legate a fattori territoriali, particolarmente rilevanti in Italia.

Infine il Rapporto Censis restituisce l’immagine di un Paese in profonda difficoltà, soprattutto per la mancanza di lavoro, con quasi tre milioni di disoccupati rilevati a giugno del 2012, e certifica come siano la rabbia e la paura i sentimenti più avvertiti dagli italiani in riferimento all’attuale stato in cui si trova la nostra nazione. Rabbia e paura perché la crisi continua e non si vede all’orizzonte un’alba capace di scacciare i molti problemi che assillano le famiglie italiane. Rabbia e paura che la politica non può ignorare.

Ci vuole la politica Il presidente del Censis, De Rita, citando Aldo Moro, ha sottolineato che “lo sviluppo è fatto da Governo e popolo e se il Governo non sente la dinamica, la domanda sociale che c’è nel Paese, non si possono fare molti passi in avanti”. Per uscire dalla crisi, quindi, ci vuole la politica. Quella vera. Quella che sente il grido che promana dal Paese. Sia questa la sfida alta della campagna elettorale che ci accingiamo a vivere.

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