Camminando nella fede

Che valore hanno le "notti" nel cammino spirituale del credente e della Chiesa? Sono un momento necessario o si possono evitare? L'esperienza di san Giovanni della Croce e gli attuali sviluppi nella teologia spirituale.
San Giovannai della Croce

Qualche tempo fa un mio amico sacerdote mi disse che in riferimento alla spiritualità cristiana non gli piaceva per nulla che si parlasse di oscurità e di notte, perché riteneva, non senza una certa ragione, che il cammino cristiano non fosse un cammino di oscurità, ma di luce.

È quanto afferma il Nuovo Testamento, dove si dice, per esempio, che “Dio è luce e in lui non ci sono tenebre” (1 Gv 1,5; cf. anche 1 Tm 6,16; Gc 1, 17). E nel Vangelo di san Giovanni si fa dire a Gesù la seguente espressione: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12).

In questa stessa linea Paolo scrive che Dio, in Cristo, ci ha sottratto dal dominio delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno dell’amore, nel regno del suo amato Figlio (cf. Col 1, 13; 1 Pt 2, 9). Allo stesso modo, i cristiani vengono definiti “illuminati” (cf. Eb 6, 4-6; 10, 32). E sono invitati a camminare e a rimanere sempre nella luce di Dio (Mt 5, 14-16; Gv 3, 21; 1 Gv 1, 6-7). 

Oriente e Occidente 

Tutto questo è vero. Però bisogna pure affermare che la tenebra, l’oscurità e la notte sono simboli cosmici fortemente radicati nella cultura umana più antica e che, riferiti al cammino spirituale cristiano, hanno una solida base nella tradizione cristiana dei primi secoli sia in Occidente che in Oriente.

I testi biblici a cui ci si riferisce, per esempio, sono il Cantico dei cantici, dove nei commenti dei padri (cf. Origene, Gregorio di Nissa, Ambrogio, Bernardo, ecc.) si sottolinea il fatto che la sposa-Chiesa-anima esce nella notte in ricerca dello sposo-Dio-Cristo.

Oppure l’esperienza di Dio che Mosè vive sul Sinai come luce tenebrosa (cf. Gregorio di Nissa); e ancora Giobbe, la cui figura si converte in prototipo di Cristo e della persona che Dio fa passare attraverso la prova di un totale spogliamento, della tentazione da parte del diavolo e alla quale Dio si rivela in mezzo al dolore e alla sofferenza (cf. Gregorio Magno); o la fede vista alla luce dell’immagine della nube tenebrosa e luminosa che guida il popolo d’Israele nel deserto, ecc.

D’altra parte, l’esperienza della notte non è qualcosa che appartiene al passato. Il testo autobiografico di Silvano del Monte Athos (1866-1938), proclamato santo dalla Chiesa cristiana dell’Ortodossia, mi sembra molto rappresentativo di alcuni aspetti più rilevanti dell’esperienza della notte nel cammino spirituale cristiano. Egli dice così:

“Per molto tempo non arrivai a comprendere quanto mi succedeva. Io mi dicevo: non giudico nessuno; non accetto i pensieri cattivi, osservo correttamente la mia obbedienza, mi astengo dal cibo, prego senza interruzione, perché i demoni hanno preso l’abitudine di venire da me? Vedo che sto nell’errore, però non posso indovinare la causa. Quando prego, essi spariscono momentaneamente, però in seguito ritornano. E così per lungo tempo la mia anima stava in questo combattimento. Mi consigliai su questo con alcuni anziani; essi si mantennero in silenzio. Ero sconcertato.

Una notte, mentre stavo seduto nella mia cella, i demoni vennero da me, riempiendo la stanza. Io pregavo intensamente. Il Signore li mandò via, ma tornarono di nuovo. Allora mi alzai per prostrarmi davanti alle icone, però ero circondato da demoni. Uno di essi stava davanti a me in modo che non potevo prostrarmi davanti alle icone senza farlo davanti a lui. Allora mi sedetti di nuovo e dissi: ‘Signore, Tu vedi che voglio supplicarti con animo puro, però i demoni me lo impediscono. Dimmi che devo fare, affinché si allontanino da me’. E ricevetti nella mia anima questa risposta del Signore: ‘Gli orgogliosi devono soffrire così dai demoni’. Io dissi: ‘Signore, Tu sei misericordioso, la mia anima ti conosce, dimmi ciò che devo fare per diventare umile’. E il Signore mi rispose nella mia anima: ‘Mantieni il tuo spirito nell’inferno, e non disperarti’.

Oh, misericordia di Dio! Sono abietto davanti a Dio e agli uomini; però il Signore mi ama, mi illumina e mi cura. Egli insegna alla mia anima l’umiltà e l’amore, la pazienza e l’obbedienza, e versa i suoi benefici su di me. A partire da ora mantengo il mio spirito nell’inferno e ardo nel fuoco tenebroso; desidero il Signore, lo cerco con lacrime… e questo pensiero mi è stato di grande utilità: il mio spirito si è purificato e la mia anima ha incontrato il riposo”1.

Recentemente Benedetto XVI nell’omelia della solenne celebrazione della Veglia pasquale nella basilica vaticana, ha pronunciato parole molto importanti su questo tema della notte.

Egli ha chiaramente spiegato il legame che questo simbolo ha con il mistero pasquale di Cristo, fonte della vita nuova di Dio per tutta l’umanità: “Nell’oscurità impenetrabile della morte Egli è entrato come luce – la notte divenne luminosa come il giorno, e le tenebre divennero luce. Perciò la Chiesa giustamente può considerare la parola di ringraziamento e di fiducia come parola del Risorto rivolta al Padre: ‘Sì, ho fatto il viaggio fin nelle profondità estreme della terra, nell’abisso della morte e ho portato la luce; e ora sono risorto e sono per sempre afferrato dalle tue mani’.

Ma questa parola del Risorto al Padre è diventata anche una parola che il Signore rivolge a noi: ‘Sono risorto e ora sono sempre con te’, dice a ciascuno di noi. La mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani. Sono presente perfino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là ti aspetto io e trasformo per te le tenebre in luce”2. 

La notte e le notti 

Nella tradizione cristiana san Giovanni della Croce è riconosciuto come il grande maestro della notte in senso spirituale.

Sotto questo simbolo egli seppe raccogliere magistralmente molti aspetti evidenziati dalla precedente tradizione cristiana intorno alla mistica della tenebra e alla mistica della luce (cf. Gregorio di Nissa e Pseudo-Dionigi Areopagita), al cammino di purificazione e alle purificazioni per poter giungere all’esperienza piena di Dio, alle diverse tappe dell’esperienza di oscurità e tenebra, e alla relazione di queste con l’esperienza di Dio come luce.

La sua dottrina sulla notte nel cammino spirituale è più ricca di sfumature di quanto a volte si dice e si spiega. Per esempio, la notte non è sempre sinonimo di purificazione; anzi, a volte, è piuttosto sinonimo del contrario.

Anche se si tratta di un’eccezione in san Giovanni della Croce, è curioso costatare come, nelle prime strofe del Cantico spirituale, egli usi il termine e il simbolo della notte in senso negativo, in sintonia con una certa tradizione a lui anteriore3.

Dice: “Chi dunque cerca Dio, ma vuole rimanere nei propri gusti e comodità, lo cerca di notte, e in tal maniera non lo troverà di certo; ma colui che lo cerca con le buone opere e l’esercizio delle virtù, lasciando il letto dei propri piaceri e delizie, lo cerca di giorno, e quindi lo troverà; perché ciò che non si trova di notte, si scopre di giorno… In queste parole ben si intende che l’anima, uscendo dalla casa della propria volontà e dal letto dei propri gusti, non appena uscita troverà subito la Sapienza divina, che è il Figlio di Dio, suo Sposo”4.

Oggi noi parliamo della “notte”, al singolare, mentre san Giovanni della Croce, seguendo anche qui la tradizione spirituale sulle purificazioni dell’anima nel cammino di divinizzazione e unione con Dio, parla piuttosto di “notti”, al plurale.

In questo modo egli infrange un certo schema, divenuto tradizionale e utilizzato fino ai nostri giorni, nel quale la tappa della purificazione, come quelle seguenti di illuminazione e di unione, avrebbe una fisionomia piuttosto monolitica, unitaria e chiusa in se stessa5.

Secondo san Giovanni della Croce, tanto nelle sue fasi più attive come in quelle più passive, la purificazione abbraccia tutta la vita, perché sempre l’amore può esaminarsi e diventare più autentico6.

Inoltre, nelle prime tappe c’è molto della illuminazione7 e, conseguentemente, di unione con Dio. Egli dirà: “Basta un grado di amore, affinché nell’anima ci sia la vita di Dio”8.

Per il mistico carmelitano, nel cammino spirituale cristiano esistono vari momenti di purificazione o di notte, che globalmente egli riassume in quattro tappe: notte o purificazione attiva del senso, notte o purificazione attiva dello spirito, purificazione o notte passiva del senso, purificazione o notte passiva dello spirito.

Queste notti non si manifestano secondo intervalli definiti, per cui una inizia quando l’altra è conclusa. Piuttosto esse si manifestano frequentemente in una forma quasi congiunta e simultanea.

Senza dimenticare, però, che le purificazioni delle spirito, tanto quella attiva come quella passiva, presuppongono in qualche maniera che sia già iniziato, e anche piuttosto avanzato, il processo delle purificazioni del senso, attiva e passiva. 

Notti e purificazione 

Alla notte o purificazione attiva corrisponderebbe tutto quello che la persona fa volontariamente per vivere in sintonia con la volontà di Dio9. È un lavoro che, in fondo, non si conclude mai finché siamo in questo mondo.

Alla notte o purificazione passiva, invece, corrisponderebbe piuttosto il processo necessario di purificazione attraverso il quale Dio, nella sua pedagogia amorosa, fa passare la persona, e che, in linea di principio, questa non cerca né vi può entrare con il proprio sforzo o volontà, anche se, conoscendo i frutti che si ricavano da questa esperienza, la persona può desiderare di sperimentarla e di chiederla a Dio10.

In ogni caso, si può dire che, almeno dalle descrizioni che ne fa san Giovanni della Croce, queste purificazioni passive, tanto del senso come dello spirito, normalmente colgono abbastanza di sorpresa.

Questo avviene, perché frequentemente la persona è abituata a sentirsi sicura di se stessa dal punto di vista umano e sicura della propria virtù e vicinanza a Dio dal punto di vista spirituale11.

Va detto pure che senso e spirito rappresentano una classificazione antropologica che serve a san Giovanni della Croce per indicare la necessità di una purificazione totale dell’uomo, o se si preferisce, per significare che tutto l’essere dell’uomo deve passare attraverso un processo di notte e di purificazione che gli permetta di superare la tendenze disgregatrici del peccato e rifare, a partire dalle sue radici più profonde, l’uomo totale, creatura nuova in Cristo secondo il disegno di Dio che sin dalle origini lo creò, affinché vivesse in comunione con Lui12.

Bisogna anche sottolineare che san Giovanni della Croce ha una visione unitaria della notte, dell’uomo e del disegno di Dio su di lui. Dice perfino che la vera purificazione passiva del senso non si realizza finché non si entra e si passa attraverso la purificazione o notte passiva dello spirito, perché soltanto questa è la notte che veramente purifica l’uomo, sradicando le radici più profonde di quanto contraddice il disegno di Dio in lui13.

La notte oscura della quale ci parla Giovanni della Croce è qualcosa di serio, umanamente e spiritualmente parlando. Non consiste soltanto nel fare uno sforzo per essere più o meno buoni, o persone mortificate “nelle cose del mondo”, però magari attaccate al proprio io o alle cose di Dio.

È una realtà molto più profonda dal punto di vista antropologico e teologale. Il cammino della notte passa necessariamente attraverso un processo di spogliamento totale e di partecipazione alla passione e morte di Cristo, fino a sentire l’abbandono del Padre, per giungere a vivere la vita nuova di Dio.

San Giovanni della Croce, però, ci avverte, che le notti passive sono importanti, perché nessuno è capace di morire bene e completamente da se stesso.

Nella notte passiva dello spirito, infatti, Dio opera soprattutto per curare e sanare, mentre la persona che sperimenta la notte sente Dio piuttosto come nemico. È un’esperienza nella quale sembra che si perdano tutti i doni di Dio, incluse le virtù teologali, le quali, invece, sono più vive che mai, soprattutto l’amore.

Questa esperienza viene descritta come un passaggio nel purgatorio, un sentirsi all’inferno, un “sepolcro di oscura morte”, attraverso il quale bisogna passare per giungere alla risurrezione sperata, alla vita nuova14. 

Notte oscura di questa vita15 

Nella tradizione cristiana l’immagine o il simbolo della notte non sempre si è identificata con l’idea della purificazione e delle tappe di una speciale purificazione nel cammino cristiano.

A volte, invece, tale simbolo è stato usato per indicare semplicemente l’esistenza terrena di questo mondo, che è notte se si paragona al giorno dell’altra vita, al giorno del pieno e definitivo possesso di Dio. Questa prospettiva è presente negli scritti di san Giovanni della Croce16, così come nei grandi padri dei primi secoli17.

Camminando nella notte dell’esistenza terrena, anche nella notte più profonda delle differenti tappe di purificazione, al cristiano non manca mai di fatto la luce di Dio, la luce della fede, della speranza e dell’amore, che lo guidano con una sicurezza maggiore che “la luce di mezzogiorno”18.

Sono luci che, in quanto tali, quasi sempre servono per purificare; ciò si sperimenta in modo speciale quando, nelle notti passive dello spirito, si avverte la sensazione che queste luci manchino. Però, in ogni caso, servono sempre per guidare i nostri passi sul giusto cammino del disegno di amore di Dio su di noi19.

San Giovanni della Croce parla di “notte serena” o di “notte quieta, al levarsi dell’aurora”, nella quale si vede vicina l’aurora o il possesso sereno e definitivo di Dio, anche se ancora si vive in mezzo alla notte della nostra vita, nella quale continua a mancarci la visione chiara di Dio20.

Da questo punto di vista il papa Giovanni Paolo II ha potuto parlare del cammino della fede della Vergine Maria in termini di “notte della fede”21, anche se Ella, essendo piena di grazia, non aveva nulla da cui essere purificata. 

Nuove letture 

Nei nostri giorni questo simbolo religioso viene arricchito con nuove prospettive e applicazioni che ci offrono una migliore comprensione del cammino spirituale cristiano. Dai primi anni settanta del secolo ventesimo, per esempio, alcuni autori iniziarono a parlare delle cosiddette “notti collettive” e delle “notti epocali” o, se si preferisce, del significato collettivo ed epocale delle notti.

Si trattava di una grande novità, dato che la grande tradizione spirituale dei secoli passati applicava fondamentalmente il termine notte alla vita cristiana intesa piuttosto in un senso personale e individuale.

Questa applicazione collettiva ed epocale del termine è stata utilizzata in alcune occasioni anche dal papa Giovanni Paolo II, il quale ha stabilito così una relazione tra le categorie di san Giovanni della Croce e l’esperienza spirituale del nostro tempo22.

Non si deve dimenticare, tuttavia, che tra le due chiavi di lettura della notte spirituale, quella individuale e quella collettiva, esiste anche una differenza, soprattutto laddove si considera la componente “passiva” della notte: “La differenza della notte collettiva rispetto a quella individuale è che in questa il cristiano entra quando è maturo personalmente, e normalmente se ne avvantaggia; quella collettiva, al contrario, la soffrono molti che non sono personalmente preparati per la notte individuale e conseguentemente soccombono”23.

Come le tappe ecclesiali sono naturalmente sempre più lunghe di quelle individuali, così può accadere che una persona passi attraverso le tappe di oscurità e notte all’interno di una tappa ecclesiale di grande luce; e al contrario, passi le tappe personali di maggior luce in mezzo a una tappa ecclesiale di oscurità e notte collettiva.

Di fronte al cammino tradizionale e proprio di una spiritualità più individuale, che sottolinea la purificazione attraverso la via della negazione e della privazione, la spiritualità di comunione, che nasce dal carisma di Chiara Lubich, propone piuttosto una purificazione che si attua attraverso lo svuotamento di sé nella donazione completa e totale agli altri con la stessa radicalità che ha vissuto Cristo; e, alla luce del comandamento nuovo di Gesù, tutto questo viene vissuto nella reciprocità24.

Modello di questa nuova esperienza di notte e purificazione è Gesù abbandonato: “Amando Gesù Abbandonato troviamo il motivo e la forza per non sfuggire questi mali, queste divisioni, ma per accettarli e consumarli in noi e portarvi così un rimedio personale e collettivo. Se riusciamo ad incontrare Lui in ogni dolore, se Lo amiamo, rivolgendoci al Padre come Gesù sulla croce: ‘Nelle tue mani, Signore, consegno il mio spirito’ (Lc 23, 46), allora con Lui la notte sarà un passato, la luce ci illuminerà”25. 

 

NOTE

1 Archimandrita Sofrony, San Silouan el Athonita, Ediciones Encuentro, Madrid, 1996, 360-361 [nostra traduzione].

2 Benedetto XVI, Omelia della Veglia pasquale nella Notte Santa, 7.04.2007.

3 Cf. Ambrogio, Commenti sui Salmi, 43, 89-90; Bernardo, Sermoni sul Cantico dei cantici, 75, 1, 10-12.

4 Giovanni della Croce, Cantico spirituale (B), 3, 3.

5 Il documento della Congregazione sulla Dottrina della Fede, Orationis formas (1989), propone al capitolo V una rilettura di questo schema tradizionale per permetterne un’interpretazione più cristiana e per evitare pericolosi fraintendimenti (17; cf. 16-25).

6 Cf. Giovanni della Croce, Fiamma d’amor viva, prologo 2-4; 1, 4, 8 e 35; 3, 34-35.

7 Cf. Id., Salita del Monte Carmelo, I, 14. A volte parla anche di “contemplazione purgativa”. Così definisce, per esempio, la notte oscura, cf. Id., Notte oscura, I, dichiarazione, 1.

8 Cf. Id., Cantico, cit., 11,11-12.

9 Cf. Id., Salita, cit., I, 11,2-3; II, 5,3-4.

10 Cf. Id., Notte oscura, cit., prologo 1-2; I, dichiarazione 1-2; 1, 1-2; 14,5.

11 Cf. Ibid., I, 8,3-5; 14; II, 2-5; 7,4-7.

12 Cf. Vaticano II, Gaudium et Spes, 19; Giovanni della Croce, Poesie sul vangelo “In principio erat Verbum”, I-IV; Giovanni della Croce, Notte oscura, cit., II, 3,3; 4,2; 13,11; Id., Fiamma, cit., 2,32-36.

13 Cf. Giovanni della Croce, Notte oscura, cit., II, 2-3.

14 Cf. Id., Salita, cit., I, 1,4-5; II, 7; Id., Notte oscura, cit., II, 6-10 e 21.

15 Id., La fonte (strofa 2, che si trova solo in alcuni manoscritti).

16 Cf. Id., Salita, cit., II, 3,5.

17 Cf. Agostino, Trattati sul vangelo di san Giovanni, 35, 8-9; Gregorio Magno, Trattati morali su Giobbe, 29, 2-4.

18 Cf. Beda il Venerabile, Commento sulla prima lettera di san Pietro, 2; Giovanni della Croce, Salita, cit., II, 3,4-6; 6,1-8; 16,15; 24,4; Id., Fiamma, cit., 3,71.

19 Cf. Giovanni della Croce, Salita, cit., II, 6; Id., Notte oscura, cit., II, 21.

20 Cf. Id., Cantico, cit., 14-15, 22-24; 39,12-13.

21 Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, 17-18.

22 Cf. Id, Omelia, 4.11.1982; Id., Lettera apostolica Maestro nella fede, 14.12.1990, 14-16.

23 F. Ruiz Salvador, Caminos del espíritu, EDE, Madrid, 19985, p. 536 [nostra traduzione].

24 G.M. Zanghì, Dal “castello interiore” al “castello esteriore”, in Gen’s 3-4 (2006) 100-103.

25 C. Lubich, Messaggio al Volontaryfest, 16.9.2006.

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