Camera chiusa, manca il lavoro
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Cosa c’è da cogliere in profondità dietro il gesto, certamente clamoroso, del presidente Fini di non convocare la Camera dei deputati per una intera settimana? La motivazione è nota: non è possibile portare avanti le iniziative legislative dei parlamentari, perché costantemente bloccate dal parere negativo del ministero dell’Economia: non vi sono soldi per le spese che ogni legge comporterebbe. Fini ha ammonito il ministro per i rapporti col Parlamento, Vito, perché riferisca al governo che non è possibile ridurre la Camera ad un’istituzione di ratifica dei decreti governativi.
E qui certamente emerge un primo aspetto. Una rapida occhiata alle leggi approvate dall’inizio della legislatura aiuta a farsi un’idea: su un totale di 115, 101 sono da ricondurre al governo (e di queste, 37 sono di conversione di decreti-legge). Ne restano 14 presentate da parlamentari, della quali alcune sono in odore di paternità governativa mascherata, come, ad esempio, la legge di proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali. Tra le altre: alcune relative alle passate tornate elettorali e referendarie, o finalizzate a… candidare l’Italia ad ospitare la Coppa del mondo di rugby nel 2015 e nel 2019, valorizzare l’Abbazia della SS. Trinità di Cava de’ Tirreni, istituire il premio annuale “Arca dell’arte – Premio nazionale Rotondi ai salvatori dell’arte”… Questioni importanti, per carità, ma anche alquanto sconcertanti: nulla hanno da dire 952 tra deputati e senatori sulla crisi economica, sulle scuole, sulla famiglia, sugli immigrati, sul sistema elettorale e via elencando?
Il completo svuotamento della funzione parlamentare, se non vogliamo già diagnosticarlo per carità di patria, è dietro l’angolo.
Eppure… eppure c’è dell’altro. Davvero, i conti non tornano. Oltre alla presa di posizione del presidente Fini, c’è da valutare il braccio di ferro interno al governo sull’alleggerimento dell’Irap. Lo sappiamo che il bilancio pubblico è in sofferenza e il concorso dei segnali in materia fa balenare la gravità della situazione. Senza allarmismi, ma con realismo, è necessario che tutti noi cittadini cominciamo a misurarci con possibili restrizioni dei servizi pubblici. Perciò, abbandonando le faziosità, si chiede giustamente alla politica rigore e progettualità, perché siano chiare le priorità e le tutele da salvaguardare. In questo, i parlamentari possono tornare ad essere protagonisti.