Cambiare la finanza per rilanciare l’Italia

L’austerità viene invocata per colpire i più deboli, mentre bisogna cambiare le regole del gioco per fermare la finanza senza controllo. Intervista a Andrea Baranes della Fondazione culturale di Banca Etica
borsa di wall street

Austerità può voler dire rigore e cioè tagli agli sprechi e alla malagestione. Il termine è, tuttavia, utilizzato per giustificare tagli alle spese sociali (diminuite del 75 per cento in Italia negli ultimi cinque anni) e ai servizi pubblici. Gli autobus di Napoli il 30 gennaio si sono fermati per carenza di carburante, come annunciano le agenzie. Uno scenario che evoca la vicina Grecia, mentre si fa sempre più inquietante la crisi del sistema bancario messa in evidenza dall’esplosivo caso Monte Paschi di Siena.

Poniamo, perciò, alcune domande ad  Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale di Banca Etica, che da tempo ha lanciato la proposta per cambiare le regole della finanza con la campagna di pressione "Cambiamo la finanza per cambiare l’Italia". Baranes ha fatto notare che anche sul Washington Post di inizio gennaio 2013 è apparso uno studio pubblicato dal Fondo monetario internazionale (Fmi) nel quale si riconosce che «i piani di austerità proposti, o meglio imposti, a mezza Europa negli ultimi anni sono un danno per l’economia e l’occupazione».  Queste misure provocano effetti sociali incalcolabili di lungo termine, ma «non funzionano nemmeno per rimettere a posto i conti pubblici, ovvero per diminuire il famigerato rapporto tra debito pubblico e Pil, vero e proprio faro che guida le scelte politiche di tutti i Paesi occidentali».

Austerità ha tanti e differenti significati. Che giudizio dare delle misure prese finora dai governi europei e da quello italiano in particolare?
«Il giudizio è sicuramente negativo. Come evidenziato dagli studi più recenti del Fmi, ma ancora prima dai risultati che si vedono nei Paesi europei, l'austerità ha portato a un peggioramento delle condizioni di vita dei cittadini, e nello stesso tempo a un peggioramento del rapporto debito/Pil e dei fondamentali degli Stati interessati. Più in generale sono oltre trent'anni che il Fmi applica sempre le stesse ricette a tutti i Paesi indebitati. Lo sanno bene le nazioni del Sud del mondo che hanno vissuto e vivono tutt'ora la crisi del debito estero. La stessa cosa avviene oggi nella "ricca" Europa. È incredibile il tentativo di addossare agli Stati sovrani tutte le colpe e tutto il peso di una crisi esplosa per gli eccessi di una finanza ipertrofica e fuori da qualsiasi controllo». 

Chi dovrebbe pagare l’austerità? E come mai non si riesce a colpire efficacemente chi specula?
«I costi della crisi dovrebbero essere pagati in primo luogo da chi la crisi l’ ha provocata, ovvero il sistema bancario e finanziario internazionale. Il problema è che per anni queste istituzioni hanno operato al di sopra e al di fuori delle regole e dei controlli, creando una gigantesca montagna di debiti per fini meramente speculativi. Quando il giocattolo si è rotto è toccato agli Stati intervenire con enormi piani di salvataggio. Privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite, con i debiti che passano dalla finanza privata agli Stati, e da questi ai cittadini. Oggi non solo siamo rimasti con il cerino in mano, ma incredibilmente dobbiamo accettare piani di austerità e sacrifici per "restituire fiducia ai mercati", come ci sentiamo ripetere. Come se all'esatto opposto non fosse questa finanza a dovere drasticamente cambiare rotta per riconquistarla, la nostra fiducia».

Quali provvedimenti concreti e sostenibili andrebbero presi?
«Diverse misure sono state proposte negli ultimi anni, e per la maggior parte non ci sono difficoltà tecniche per chiudere questo enorme casinò finanziario, è una questione di volontà politica. Una tassa sulle transazioni finanziarie per frenare la speculazione, separazione tra banche commerciali e banche di investimento, chiudere i paradisi fiscali, regolamentare o bloccare i derivati e gli altri strumenti speculativi e via discorrendo. Le proposte concrete ci sono, adesso occorre fare sentire la voce della stragrande maggioranza delle persone (il famoso "99 per cento” di Occupy Wall Street) che trarrebbero enormi benefici da una maggiore regolamentazione finanziaria, ma le cui posizioni sono troppo spesso messe a tacere dagli interessi della stessa lobby finanziaria».

Dalla vostra esperienza che tipo di consapevolezza ricavate dell’alfabetizzazione finanziaria tra le persone comuni? La diffusa incapacità di leggere gli eventi economici che incidono sulla vita reale è una grande povertà perché induce a credere ai cosiddetti “mercati” come divinità senza limiti. Come reagire?  

«È sicuramente necessaria una maggiore alfabetizzazione e consapevolezza in ambito finanziario, visto il peso che questo settore ha sulle vite di tutti noi. In parallelo con nuove regole e controlli introdotti "dall'alto", è in primo luogo "dal basso" che occorre cambiare le cose. Troppo spesso oltre che vittime siamo complici inconsapevoli di questo sistema. Depositiamo i nostri risparmi in banca o li affidiamo a un gestore finanziario o a un fondo pensione o di investimenti e non sappiamo più che fine fanno. I miei soldi, una volta incanalati nel circuito bancario e finanziario finiscono in qualche paradiso fiscale o vanno a sostenere l'economia del territorio? Finanziano il commercio di armi o l'agricoltura biologica? E via discorrendo. Oggi Banca Etica è l'unica banca in Italia che pubblica sul suo sito l'elenco completo dei finanziamenti che eroga, realizzando una valutazione sociale e ambientale di ogni finanziamento, ovvero andando a vedere le ricadute non economiche delle attività economiche. Come clienti abbiamo il diritto, e per molti versi il dovere, di chiedere alla nostra banca o gestore finanziario come intende utilizzare i nostri soldi, da una parte per evitare che vadano ad alimentare la speculazione e il casinò finanziario, e dall'altra al contrario per sostenere un diverso modello».  

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