Call center, precarietà crescente

Tante aziende spostano il servizio assistenza all’estero per risparmiare. Problemi per dipendenti e qualità del lavoro.
Call center

Nel mondo anglosassone molti lavoratori hanno iniziato ad osservare con un certo timore il sorriso imperturbabile dei loro colleghi indiani chiamati a sostituirli nei servizi di call center. La rete telefonica permette di offrire l’assistenza in lingua inglese che arriva da luoghi dove il lavoro costa di meno e non è gravato da troppe regole. Non è poi così difficile capire cosa vuol dire delocalizzazione.

Tanto risponde comunque un “omino” che si trova tra centinaia di postazioni collocate in grandi ambienti comuni. «Tu, il telefono e il computer», sintetizzano molti studi per definire la solitudine di un lavoro faticoso e alienante.

“Noi” diventa un pronome pericoloso, osservava Richard Sennet nella famosa analisi sull’“uomo flessibile”. Lo dimostra la vicenda del call center di Atesia a Roma. Nel 2005 un gruppo di persone si è riconosciuto facente parte di un insieme e ha chiesto l’applicazione corretta delle leggi sul lavoro. Tutti sapevano tutto, ma è stato necessario l’intervento dell’Ispettorato del lavoro per accertare che oltre tremila contratti di collaborazione nascondevano veri e propri rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Rapidamente è arrivato un condono per i contributi non versati e tutto si è chiuso con un esborso per sistemare il passato. In cambio sono stati offerti nuovi contratti prevalentemente part time e di apprendistato. Un compromesso rifiutato solo da 50 lavoratori.

Il filmato Parole sante, realizzato da Ascanio Celestini, riesce a dar voce a questo racconto collettivo. Il finale negativo sembra tipico della commedia all’italiana, ma la stranezza sta tutta nell’ilarità di chi racconta storie anche penose. Come mai? Uno dei lavoratori ne dà ragione: «Prendendo anche coscienza e facendoci carico direttamente di quello che sta succedendo, c’è una sorta di liberazione». 

Già nel 2005 esisteva lo spettro della delocalizzazione in Romania. Una prospettiva che adesso si sta comunque realizzando nelle aziende del settore. La competizione è agguerrita. I grandi committenti (come Telecom, Sky, Fastweb, Vodafone, ecc.) hanno posto all’esterno della loro struttura il servizio di assistenza che, a scadenza regolare, viene appaltato ad altre aziende che lottano per conquistare la commessa. E così Bucarest, Tirana o Tunisi, dove si parla l’italiano, diventano sedi appetibili per abbattere i costi del lavoro. 

I governi hanno siglato condoni previdenziali e chiuso gli occhi. I sindacati hanno firmato accordi  che hanno ridotto molti costi delle aziende. Ma ora gli stessi rappresentanti dei lavoratori non possono far altro che chiedere, impotenti, una moratoria per le delocalizzazioni.

Secondo una recente indagine dell’Alcatel, esisterebbe un cattivo funzionamento dei call center con una perdita, per le aziende, di circa 12 miliardi di euro. «I clienti sono irritati», dicono. Vengono proposte nuove soluzioni informatiche. Ma siamo sicuri che non ci sia nient’altro da cambiare?

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