Calcio tra debiti e spese folli: il modello Bayern

La pandemia e le spese folli degli ultimi anni hanno portato il calcio a un bivio: ridurre i costi o inventare nuove forme di spettacolo da introito, tra le quali la SuperLega. Saranno mesi decisivi, ma esiste già un grande modello in Baviera.
(AP Photo/Matthias Schrader, Pool)

Il pallone è stato gonfiato sin troppo. Non solo di azioni in borsa, fideiussioni e milionate, ma soprattutto di illusioni. E se sulle prime si può anche correggere la rotta, le ultime possono fare ancora più male al sistema di quello che risulta la passione sportiva più seguita a livello planetario.

La settimana inizia a tema, con la dichiarazione ai microfoni di Radio anch’io sport di Gabriele Gravina, presidente della Federazione italiana Giuoco Calcio: «Pensare che la soluzione a questo momento di difficoltà del calcio è solo aumentare i ricavi è un grande errore. Noi dobbiamo mettere sotto controllo i costi consentendo il rispetto della legge 91. Mi sono permesso di dire per la stagione 2021-22 di non superare la soglia dei costi del 2020-21 e poi – aggiunge – ipotizzare un abbattimento dei costi dal 10 al 20% all’anno per il 2022-23». Chiaro il riferimento al progetto Superlega, soluzione prospettata e subito naufragata come abbiamo raccontato, ma in generale soprattutto al calcio in default.

Quanto costa il “personale” dei grandi club?
Nei prossimi giorni il presidente dell’Inter neo-campione d’Italia, Steven Zhang, inizierà colloqui individuali con tutti i giocatori, chiedendo la rinuncia a qualche mese di stipendio. Il motivo risiede nel fatto che la famiglia del presidente, titolare del gruppo Suning, è un gigante messo in ginocchio dalla crisi pandemica, mentre l’Inter ha accumulato debiti che, solo per il costo del lavoro degli atleti, sono schizzati a 220 milioni. Non è molto diversa la situazione di altri grandi squadre indebitate come il Milan, il cui solo costo del lavoro è di 150 milioni, o la Roma con i suoi 170, per non parlare della Juventus di Cristiano, che arriva a quasi a 350. Per guardare fuori da casa nostra, il virtuoso Bayern Monaco, campione d’Europa in carica e con i bilanci a posto, spende 270 milioni circa in personale, mentre il Real Madrid, indebitato, oltre i 330.

La via possibile: dai signori del debito al modello Bayern
Barcellona, Juventus e Real Madrid sono le uniche tre squadre a continuare a difendere pervicacemente l’idea di una “riforma del calcio” che a loro dire avrebbe nella SuperLega di pochi eletti selezionati la soluzione. Da un lato abbiamo già parlato della pessima idea e sappiamo come è andata, mentre sono ancora in fase di lancio guerre legali a colpi di risarcimento danni con UEFA ed altri club coinvolti inizialmente. Dall’altra, non possiamo non notare la differenza principale tra questi “signori del debito” e un modello vincente e virtuoso come il citato Bayern Monaco, sul piano sportivo, commerciale e persino “politico”: a dimostrarlo, i numeri. Mentre Juventus e Barcellona per scelgono di andare finanziariamente a rompersi il collo rispettivamente per trattenere Cristiano RonaldoMessi e il Paris Saint Germain può permettersi gli spropositati aumenti di capitale dello sceicco Al-Khelaïfi per puntare per anni su Neymar Mbappè, il Bayern punta sulla solidità a lungo termine.

Allianz Arena (da Wikipedia)

Il bilancio del Bayern è in utile da 29 anni consecutivi: non investe solo in calciatori ma in asset quali strutture, stadio, merchandising e collaborazioni di potenziale valorizzazione, in primis quelle legate al settore giovanile. Lo Stadio Allianz Arena è la punta di diamante del patrimonio: fattura e produce ricchezza anche senza partite in programma, data la presenza di ristoranti, centri bellezza, musei e negozi brandizzati Bayern, che segnano un fatturato annuo da almeno 50 milioni di euro. Ovviamente escludendo le transazioni che riguardano l’aspetto strettamente sportivo, che altrimenti vede moltiplicare per dieci il fatturato.

In Baviera è applicato anche un nuovo modo di intendere il calcio a livello commerciale: i main sponsor del Bayern sono anche piccoli azionisti del club. La squadra professionistica è gestita dal Fc Bayern Munchen Ag, le cui quote azionarie, riviste nel 2014 sono per il 75% detenute dalla casa madre, mentre l’8,33% ciascuno è di proprietà dell’Adidas, maggior sponsor del club e fornitore tecnico, di Audi e di Allianz, che dà anche il nome allo stadio. Questi tre colossi hanno rispettivamente sborsato per entrare in società 77, 90 e 110 milioni di euro negli scorsi anni, proponendo una sinergia commerciale che rafforza tutti.

Il Bayern non parte dalla forza economica di Manchester CityPSGBarcaChelsea, ma non rischia nessun investimento dettato dall’appeal mediatico. Nonostante questo, conta costantemente su molti tra i migliori talenti mondiali, grazie ad una fitta rete di scouting che rivela da decenni giocatori promettenti a un passo dalla consacrazione, alcuni dei quali a volte anche strapagati, ma senza sforare sui bilanci. C’è da dire che, sfruttando il suo blasone, “saccheggia” spesso il mercato interno del calcio tedesco appropriandosi dei migliori talenti, al contempo indebolendo le avversarie. Eppure, non ha mai puntato il dito contro sistemi, arbitri o altre congiunture astrali: il suo sistema regge, vince e talvolta stravince. La domanda dunque è banale ma spesso tanto evasa quanto antica: perché non accettare di rivedere i propri limiti e, con sacrificio e umiltà, non imitare i migliori?

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