Calabria, vietato rassegnarsi

Una famiglia davanti alle sfide di una terra ricca di potenzialità ma che costringe a cercar lavoro altrove.
Mario e il figlio Daniele

Il mio incontro con Mariano è coinciso per entrambi con il riaffacciarci più consapevolmente alla fede, grazie a un sacerdote che aveva riunito un gruppo di giovani nella nostra parrocchia nella prima cintura di Torino.

Ci siamo sposati continuando a operare in parrocchia e cercando di dare il nostro piccolo contributo anche nella vita sociale. Ma c’era un grosso neo nella nostra vita, che non ci faceva stare tranquilli: Mariano lavorava in una fabbrica di aerei da combattimento e questa ci sembrava una nota stonata rispetto ai nostri princìpi. Si parlava allora, in ambienti “alternativi”, di obiezione fiscale, civile, ma quasi nessuno di obiezione sul lavoro. Chiedevamo consigli, avevamo anche chiesto di passare nella sezione civile dell’azienda per motivi etici, ma senza risultato.

 

Più tardi, durante una vacanza in Calabria, mia terra d’origine, Mariano si è reso conto delle potenzialità di questa terra e di quanto poco fossero sfruttate. Anche se ancora se ne parlava poco, eravamo molto sensibili a tutto ciò che riportava alla natura e alle sue risorse e all’importanza di mantenerle intatte. Abbiamo deciso pertanto di trasferirci a Catanzaro e di avviare un commercio che facesse conoscere le tipicità naturali, fuori regione.

Avevamo intanto approfondito la spiritualità dei Focolari, conosciuta a Torino, e col sostegno degli amici del movimento mio marito ha cominciato un nuovo lavoro. Ripartendo da zero, è diventato presto un bravo tecnico ascensorista, anche se con un salario piuttosto basso rispetto alle competenze acquisite. Mentre io, sfruttando le mie capacità artistiche e un forno per ceramica, aprivo un piccolo laboratorio di decorazione.

 

Dopo qualche anno è nato il nostro terzo figlio. Abbiamo affrontato molte difficoltà per acquisire la fiducia delle persone, nel nostro lavoro, ma la precisione alla quale eravamo stati abituati e i rapporti costruiti giorno per giorno ci hanno fatto apprezzare da molti. Ciò che ha reso il nostro punto vendita quasi una casa dove il cliente si sentiva messo a suo agio per l’attenzione ricevuta.

 

In seguito a un brutto infortunio sono rimasta limitata nella motricità. Che fare? Chiudere il laboratorio, che non potevo più portare avanti da sola, oppure farmi aiutare da Mariano, che però avrebbe dovuto lasciare il suo lavoro? A questo punto abbiamo investito sulla nostra piccola azienda, che volevamo fortemente adeguare al progetto di Economia di Comunione lanciato in quegli anni da Chiara Lubich, e, promuovendola con fiere e manifestazioni, siamo riusciti dopo qualche anno, con un contributo europeo e facendoci dei debiti, ad ampliarla aprendo un altro punto vendita a Cosenza e assumendo due persone.

Ci siamo successivamente trasferiti a Cosenza, sia per esigenze di lavoro che per agevolare nostra figlia nei suoi studi universitari. In questa fase una malattia seria di Mariano è stata l’occasione per cedere il vecchio negozio e ripartire anche stavolta da zero nella nuova città, dove avevamo già definito l’acquisto di un nuovo laboratorio.

 

L’arrivo della crisi e gli impegni presi con le banche ci hanno costretti a chiudere la nostra attività artigianale. Per trovare una soluzione e non potendo investire nulla, con l’aiuto di nostro figlio Daniele, che per questo ha dovuto sospendere i suoi studi, abbiamo ripreso il vecchio progetto di promuovere gli ottimi prodotti calabresi, che l’economia povera della regione permette di commercializzare a un prezzo buono, stavolta con l’ausilio di Internet.

 

È una nuova sfida, difficile, ma speriamo non impossibile; ci auguriamo che con il poco di ciascuno possiamo riprendere in mano la nostra economia familiare, ma anche non rassegnarci al pensiero che in Calabria non ci sia niente da fare.

Sì, perché anche in zone lontane dall’ingerenza delle organizzazioni criminali, non è facile lavorare qui da noi. Le enormi somme di denaro stanziate per lo sviluppo raramente sono state investite pienamente e adeguatamente per la crescita della nostra regione; e in questo, oltre alla poca competenza di chi le gestiva, ha contribuito anche la totale assenza di un organismo che verificasse le effettive destinazioni di questi stanziamenti.

 

Anche in presenza di normative statali per i finanziamenti alle piccole imprese, da noi è sempre stato difficilissimo accedere al credito, e questo è stato un ulteriore deterrente allo sviluppo di microimprese.
Ci siamo resi conto, a nostre spese, che il tempo per lo sviluppo che un’azienda raggiunge in altre regioni da noi si protrae in modo enorme e mai arriva a essere come sarebbe altrove.

Ci siamo trovati a fare investimenti, incoraggiati da istituti di credito, che poi a impegni presi hanno protratto i tempi di erogazione in maniera sconsiderata, facendoci rischiare più volte di soccombere.
 

 

Possiamo dire che la provvidenza è intervenuta sempre, quasi a sostenerci e a proteggerci da certe situazioni. Insomma a gran voce si fa pubblicità di aiuti, ma poi nel concreto l’accesso è stato ed è sempre molto difficile… e spesso negato.

Le facili pensioni e i progetti imbastiti per giustificare i vari piani di sviluppo, illudendo migliaia di giovani riguardo a un lavoro, nonché  il protrarsi di questo stato di cose, hanno generato un cancro: quello della rassegnazione.
Ma crediamo che il danno più grave sia stato quello di ledere fortemente l’immagine dei calabresi nel resto del mondo, facendoli apparire apatici e sfaticati. E questa assenza di credibilità ha influito non poco, oltre alle distanze e ai cattivi collegamenti, a commercializzare le nostre produzioni.

 

L’attuale crisi sta ormai inarrestabilmente portando alla desertificazione dei nostri centri. Si stanno ripetendo scene già viste in altre epoche, l’esodo di giovani e famiglie che, lasciando le loro radici, cercano altrove la dignità del lavoro. Le famiglie ricominciano a smembrarsi, non ce n’è una in cui almeno un componente non abbia già aperto la strada all’emigrazione. E non ci sono segni di conversione, nella gestione regionale, che facciano concretamente progetti di sviluppo per evitare questo.

 

La gente sa già che qualunque iniziativa verrà presa a livello nazionale per la crescita economica del Paese non sarà sicuramente attuata in Calabria, dove un male oscuro la vuole sottosviluppata e che accattoni ciò che altrove è diritto. Emblematica è la situazione della Salerno-Reggio Calabria, da circa mezzo secolo in stato di pachidermica costruzione: se ne parla, se ne ride, ma chi controlla? Sotto la parvenza di aiuto ai più poveri, ci danno un’ulteriore umiliazione, ma noi non vogliamo essere poveri, perché la Calabria è ricca di talenti naturali e di gente capace.

 

Crediamo che una risposta possa darla la rete che, oltrepassando autostrade perennemente in costruzione e macchinosi, quanto inutili e dannosi, organismi, è in grado di far conoscere al resto del mondo le nostre competenze e tradizioni, prima che si perdano definitivamente.

È una sfida e occorre che tanti credano, nonostante la nomea che ci hanno appioppato, alla nostra operosità e buona volontà, e che ci aiutino a crescere e a far splendere in tutte le sue espressioni una delle regioni più belle d’Europa.

 

Porcellane e prodotti tipici

Le attività della famiglia Lia Giaccone:

www.bottegadecoro.altervista.org

www.ladispensaditeresalia.com

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