A Parigi, nel Giardino delle Tuileries, c’è la statua dello scultore Henri Vidal che rappresenta Caino dopo l’omicidio del fratello Abele. Caino è un uomo distrutto, solo, le spalle ricurve, il capo rivolto a terra, si copre il viso con una mano. Nella Bibbia lui è il primo assassino della storia. Il primo ad aver ammazzato un proprio fratello. Non si può guardare quella statua senza provare un senso di angoscia. Di Abele non rimane nulla, come preannuncia il suo nome derivato dall’ebraico havel, che significa fumo, che indica l’inconsistenza del vento. Abele è un passaggio di leggerezza, brezza di primavera. Caino è una presenza ingombrante, che rimane.
La storia dei due fratelli inaugura la vita sulla Terra fuori del giardino di Eden. Non è un inizio glorioso. La vicenda è arcinota. Dal punto di vista narrativo è il primo “giallo” della storia. I protagonisti sono pochi: un fratello, la vittima; l’altro fratello, l’assassino; l’investigatore, Dio; il giudice, ancora Dio. L’arma del delitto, sconosciuta (anche se nei secoli vari artisti si sono sbizzarriti a rappresentarla). L’assassino, interrogato dall’investigatore, dapprima si dichiara estraneo ai fatti. Poi, incalzato, ammette la propria colpevolezza. Del resto, poteva negare più di tanto? A stare al racconto biblico, nei paraggi di umani c’erano solo loro due, oltre ai loro genitori. È un giallo che manca di suspense. Ma nella sua asciuttezza è di una forza soverchiante.
L’ambientazione non è descritta, i pochi accenni farebbero pensare al periodo Neolitico. L’antefatto è prosaico. Riguarda l’offerta di frutti della terra e di primogeniti animali come richiesta a Dio di benedizione sul lavoro. Nelle culture antiche si usava così. Caino, agricoltore, sedentario, presenta a Dio i frutti del suolo. Abele, pastore, semi-nomade, brucia in olocausto a Dio i primogeniti del gregge e il loro grasso. Succede un fatto inaspettato. Che è il punto di svolta della storia. Dio, senza dare alcuna spiegazione, apprezza il dono di Abele e non quello di Caino. Motivo? Non si sa. Non dice nulla.
Si possono azzardare delle ipotesi su quel silenzio imbarazzante. Una rischia d’essere irriverente: a Dio non piace il cibo vegano e preferisce costine e salsicce. Non è certo quello che lascia intendere il testo. Ma alcuni autori un po’ maliziosi sottolineano che Abele sacrificò le primizie del suo gregge, il meglio dei suoi agnelli. Di Caino il racconto non dice che sacrificò le primizie del suo orto. Da questo deducono che si è tenuto per sé gli ortaggi migliori. Altra ipotesi: Abele era buono e Caino cattivo. Ma questo il testo non lo dice affatto! Ancora un’altra ipotesi: qui è messa in scena la rivalità agricolo-pastorale, che incarna i due modelli sociali dell’epoca.
Oggi ci è difficile comprendere la preferenza di Dio per il mondo pastorale di Abele, nomade e arcaico, contro quello di Caino, stanziale e incline al progresso. Se avessimo scritto oggi il racconto, l’assassino sarebbe stato Abele e la vittima Caino. Ma lo scrittore biblico, che scrive durante o dopo l’esilio babilonese, dimostra una certa nostalgia per il modello pastorale-nomade, che lo riporta all’origine d’Israele nel pastore Abramo. Mah!?
Ancora una ipotesi: in scena è la preferenza di Dio per il fratello minore. È un tema ricorrente nella Bibbia, e qualcosa di questo potrebbe certamente esserci. Ma si può fare un’ulteriore ipotesi. Che tira in ballo la categoria della “prova”. Caino è il primogenito, il prescelto, con lui Dio parla (con Abele Dio non dice una parola). Dio vuole vedere se, dalla sua posizione avvantaggiata, riesce a fare un passo in avanti, per crescere e diventare “simile” a Lui. Caino non comprende la prova e tra le tante reazioni possibili, cede alla peggiore. Si offende. Facendo il confronto con il fratello (i confronti sono quasi sempre nocivi) si sente trattato ingiustamente dalla vita e da Dio. «Perché lui sì e io no?» si chiede.
Molte persone, dopo Caino, agiranno come lui. Non comprendendo che la vita è cosparsa di ineguaglianze spesso inspiegabili e che per guadagnare la saggezza e, per quanto possibile, la felicità, è necessario accettare in esse l’azione misteriosa di Dio. Romano Guardini diceva che la strada della realizzazione passa attraverso la strettoia dell’accettare se stessi, come dono ricevuto da Dio.
Caino, tutto concentrato su se stesso, non lo capisce. Coltiva dentro di sé il rancore per quella che ritiene un’ingiustizia ricevuta. E il rancore fuorvia. Si autoalimenta. Forma una valanga che alla fine travolge. Così Caino alza la mano su suo fratello. E lo ammazza. Dio l’aveva avvisato: il peccato è come una belva accovacciata alla tua porta. Il suo istinto è travolgerti. Ma tu devi dominarla, quella belva, devi dominare le tue pulsioni più basse. Caino si fa dominare da esse. E così dopo l’omicidio se ne va verso un nuovo destino. Ma è abbattuto, sconvolto, con la mano sul viso, come nella statua di Vidal.
La fratellanza inaugurata da Abele e Caino nel corso della storia sarà sempre messa in pericolo da quella belva accovacciata alla porta. Che però si deve dominare.
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