Bychkov, un fuoco sacro

J.S.Bach: “Messa in si minore soli coro e orchestra”. Roma, Accademia Santa Cecilia, Auditorio Dieci anni fa, Carlo Maria Giulini ci trasportò con lentezza sublime nel paradiso Messa, da cui pareva non potesse più discendere. Oggi, Semyon Bychkov, anni, russo di San Pietroburgo, rivela quale fuoco bruci sotto questa architettura musicale, rendendola con ciò non meno trascendente, ma più “umana”. Bychkov, “sparendo” dentro al suono magnifico dell’orchestra e del coro – un gesto arcuato, flessibile che in altri sarebbe esibizione, ma in lui è “musica” – fa pulsare sentimento brano a brano così che il battito del cuore del pubblico diventa tutt’uno con quello di Bach. Si scoprono profondità insperate: il duetto soprano- contralto nel “Credo… in Jesum Christum” esprime, mediante l’alternarsi e l’inseguirsi delle voci, nel gioco di pause e di attese, nei silenzi impercettibili, la realtà “trinitaria” del brano, realizzata in altissima forma musicale. L’accento prolungato in un “pianissimo” di orchestra e coro nel “sepultus est” è insieme sgomento, commozione, speranza di fronte ad ogni morte. E se nel “resurrexit” l’esplosione gioiosa coinvolge con un “tutti” su cui s’innalzano gli squilli degli ottoni, l’aria del basso “…et in Spiritum sanctum” avvolge di dolcezza, introdotta dal canto dell’oboe. Bychkov esalta i colori della partitura, creando atmosfere, che vanno dal drammatico al luminoso, dal sereno al trionfante: sempre composto, naturalmente, ma con una lava sotterranea che riemerge costante; anche nel “dona nobis pacem” finale, fiamma delicata. Certo, ci voleva un grande direttore russo per riscoprire l’anima bachiana, fervida di sentimento e di fede, capace di raggiungere altezze mistiche senza toglier nulla al cuore umano. Una lezione interpretativa difficile da dimenticare. Bychkov, seguito con eccezionale amore dai complessi ceciliani (il coro diretto con passione da Roberto Gabbiani) e dal quartetto di solisti (il mezzosoprano Bernarda Finck, voce duttile ed espressiva mirabile) ha trascinato la sala nel fuoco sacro di Bach: lasciando commozione e silenzio. Yuri Temirkanov Russo come Bychkov, ma più ancorato alla patria (anche se richiesto da mezzo mondo), straamato dal pubblico ceciliano con tanto di applausi ritmati e standing ovation, il Nostro – asciutto nel fisico ma trascinatore col gesto “a ondate” – ha diretto Rimskij-Korsakov (Shéhérazade) sinuoso e favolistico ed un ? Cajkovskji (Schiaccianoci) finalmente libero dal borotalco e virilmente melodioso. Che bellezza di concerto, con l’orchestra ammaliata dal “mago” russo a estrarre il colore italiano del suono, inimitabile. Certe “cavate” dei violoncelli o certi arabeschi dei legni sono da sogno: come lo Schiaccianoci. CAGLIARI ANNO 2003 Il Teatro Lirico, aperta la stagione con Opricnik, lavoro giovanile di ? Cajkovskji – sulla scia delle annuali “riscoperte” -, offre un calendario ricco di appuntamenti: per la lirica, Otello di Verdi (direttore R.Palumbo, regia A.Fassini, con Barbara Frittoli e Lucio Gallo), Bohème (con V. La Scola e Andrea Rost), Capriccio di Richard Strauss (regia di Luca Ronconi), e Flauto Magico (direttore Gérard Korsten). Per il balletto, ritorno del Kirov di San Pietroburgo con La Bella Addormentata.

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