Burundi in un vicolo cieco

Il Paese è entrato in un ciclo di violenze senza precedenti ed è al centro delle preoccupazioni dell’Africa e della comunità internazionale, ma ad oggi nessuno è riuscito a trovare una strategia di pacificazione mentre oltre 230 mila persone sono sfollate
Burundi

Il Burundi è sull’orlo del caos. Il paese è entrato in un ciclo di violenze senza precedenti. Oggi più che mai è al centro delle preoccupazioni dell’Africa e della comunità internazionale. Ma né l’Unione africana (UA) e né la comunità internazionale finora sono riuscite a trovare una soluzione di pace per questo piccolo paese dell’Africa centrale che si era da poco lasciato alle spalle un drammatico conflitto inter-etnico di dieci anni (1993-2003).

 

Durante il 26esimo vertice dell’Unione africana che si è svolto ad Addis-Abeba, in Etiopia, nello scorso gennaio, i capi di stato non sono riusciti a mettersi d’accordo sulla creazione di una forza militare internazionale di stabilizzazione in Burundi. Molti dirigenti africani hanno invocato il principio di non ingerenza. Altri hanno preconizzato una ripresa del dialogo politico tra governo e opposizioni. Proposta rigettata dal governo burundese.

 

Inizialmente, il 17 dicembre l’Unione Africana si era pronunciata per l’invio di una forza di stabilizzazione di 5mila uomini. Decisione approvata dall’Onu. Contrario all’invio dei caschi verdi il presidente del Burundi Pierre Nkurunziza, per il quale si sarebbe trattato di “forza di invasione e di occupazione”, e che l’esercito burundese avrebbe combattuto per contrastarlo. Per impedire altre violenze si è scelta la stasi.   Insomma, nulla di fatto

 

Esecuzioni, arresti, sparizioni, assassini politici sono all’ordine del giorno. Ma che cosa sta succedendo davvero in Burundi? Difficile di dare una risposta definitiva. Quel che è certo è il la popolazione burundese vive nel terrore. E’ difficile dire da dove verrà il pericolo e chi sarà la prossima vittima. Nessuno è al di sopra dei sospetti. Ogni giorno la polizia blocca quartieri, villaggi alla ricerca di armi o di persone ostili al governo di Bujumbura che vengono sommariamente giustiziate per strada, nelle loro case, senza un processo.

 

Spesso si tratta di giovani, gli stessi che nell’aprile 2015 hanno iniziato le manifestazioni di protesta contro la rielezione del presidente eterno Nkurunziza. Non è raro nelle città, trovare dei corpi sulla strada o nei fiumi, uccisi con un colpo in testa. L’Alto commissariato per i rifugiati Onu ha denunciato “le violenze sessuali delle forze di sicurezza contro le donne” e anche “la sparizione e la tortura”.

 

I militari sono anche bersaglio di attacchi da parte, dicono loro, di “giovani drogati”, che non sono altro che oppositori a questo sanguinario regime. Non è raro che vengano ammazzati dei poliziotti o dei soldati. Così le forze di sicurezza in questi ultimi mesi sono diventate ancora di più violente. A ottobre hanno utilizzato un missile per colpire una casa a  Cibitoke, un quartiere di Bujumbura-la capitale-, dove la maggioranza dei abitanti si opponevano Nkurunziza e al suo regime di terrore.

 

Lunedì 16 febbraio ci sono stati attacchi con le granate contro la popolazione – i più sanguinosi dall’inizio delle proteste nell’aprile 2015 – che hanno colpito diversi quartieri della capitale, ucciso molti civili, tra cui anche bambini.

 

Il Burundi ha sempre accusato il Rwanda di voler destabilizzare il governo di Nkurunziza. Vicino al confine con il Rwanda, un ex ufficiale dell’esercito burundese il 23 dicembre scorso ha proclamato la nascita di un gruppo chiamato «le Forze repubblicane del Burundi», da lui guidato, che si propone di cacciare via il sanguinario presidente, che sarebbero sostenute dal Rwanda.

 

L’Alto commissariato del Onu per i diritti dell’uomo ha chiesto l’apertura di una inchiesta sulla «possibile esistenza d’almeno nove fosse comuni» a Bujumbura e nelle città vicine, trovate attraverso le foto satellitari.

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