Burri: Il dramma nella materia

Le opere di Burri esposte alla Fondazione Magnani Rocca rendono l’ennesimo omaggio ad uno dei maestri indiscussi del Novecento. È sempre stato evidenziato il legame fra il rifiuto dell’immagine operato da tutta la grande stagione informale e l’arte di Burri, che con sacchi, ferri, legni, plastiche e cretti abbandona ogni facile figurazione per riscattare come non mai la bellezza insita nei materiali. A ben vedere, l’evocazione di forme e immagini non scompare del tutto. Ma le materie prime di Burri, spesso già vissute e logorate dal mondo, rimandano a figure e scene che si collocano al di là della soglia delle apparenze: non tanto immagini provenienti dall’esterno, quanto piuttosto figurazioni che si riferiscono all’interiorità e che pertanto si fanno metafore universali. Nei celebri sacchi le toppe di juta cucite insieme ostentano lacerazioni, strappi e buchi che suggeriscono gli incidenti e il logorio del vissuto: sono ciò che rimane di lunghi viaggi, carichi pesanti, sforzi, lavori umili, miserie, dolori. Prese singolarmente, queste pezze risulterebbero quantomeno anonime, ma nelle studiate composizioni dell’artista ogni frammento si valorizza nell’accordo con la toppa limitrofa, emergendo nella sua caratteristica forma, grana, tinta, così come potrebbe accadere ad un quadro di Mondrian. Lo squallore della povertà trova quindi il proprio riscatto, elevandosi sul piano estetico; i residui di una vita diventano il sudario universale della vita stessa; i segni che una particolare esperienza ha lasciato su quel cencio si trasfigurano nella filigrana che possiamo riscontrare in ogni esperienza. A poco vale il cercare a tutti i costi in questi sacchi ferite, squarci e suture quali residui della precedente professione di medico. Tali immagini possono sicuramente continuare a muoversi nella mente di Burri che, arruolato come ufficiale medico nel Secondo conflitto mondiale, decide di dedicarsi all’arte proprio durante la prigionia in un campo di concentramento in Texas. Eppure nei suoi quadri gli strappi perdono ogni valore contingente e, paradossalmente, proprio per la loro fisicità, svaniscono come ferite individualizzate o riferite ad un corpo particolare. Questi squarci si aprono piuttosto sulla carne del mondo intero in una simbolica messa in scena della storia che si strappa, rivelando il dramma umano. Simboliche sono pure le cuciture intrecciate dall’artista che, nel tenere insieme i diversi brandelli di sacco e di storie, ricompongono quei frammenti abbandonati e insensati in un disegno che ha il suo senso, il suo equilibrio. Un disegno che si mostra però solo ad uno sguardo capace di tralasciare una visuale particolare per considerare l’insieme. La medesima componente esistenziale si ripresenta e si rinnova nei cretti, dove l’impasto di caolino e vinavil realizzato dall’artista viene offerto al tempo che rompe, spacca e crepa la superficie. La materia, spesso di un bianco immacolato, è segnata dai solchi che la storia naturale le impone. Ma anche qui il non senso dei solchi e delle spaccature si ricompone nell’ordito complessivo che richiama un’armonia ed un ordine superiore difficilmente realizzabili da mano d’uomo, a meno che non sia la mano d’un grande uomo. L’artista non si limita ad ammirare il lavoro del tempo sulla propria opera, ma ne controlla e ne guida scrupolosamente il processo, in modo che le screpolature seguano percorsi precisi: si concentrano al centro, diventano più sottili ai bordi di un cerchio ideale o seguono la forma di un arco, così da poter superare quello stesso ordine superiore che il cretto racchiude. Anche un materiale freddo, anestetico e dozzinale come la plastica prende vita fra le mani di Burri. Il cellotex viene aggredito con la fiamma ossidrica e apparentemente la materia risponde in modo autonomo: si ritira, si contorce, si scioglie; in realtà il suo sconvolgimento quasi anarchico si svolge sempre sotto l’attenta regia dell’artista che ne guida il disegno con segni di fuoco al fine di ricreare cavità convulse e magmatiche. In quella materia, proveniente dal mondo della merce e del consumismo, troviamo impresse le offese e le ferite inferte all’umanità contemporanea. E il dramma dell’esistenza rivive anche sui legni, sui ferri, nelle muffe… Burri conosce da vicino le ferite che la guerra infligge ai corpi e alle coscienze, così come conosce i segni che la società dei consumi imprime sotto le false spoglie della dolce vita. Sulla materia della sua arte le ferite, le crepe, i segni mostrano l’incancellabile lacerazione della storia, ma nel mostrarla la risanano. Con Burri l’uomo si dimostra ancora capace di ricucire i brandelli della propria storia. La forma scomposta della vita si ricompone, mentre la coscienza del dramma umano riesce ancora a vedere in una ferita la luce delle stigmate. Daniele Fraccaro Burri, opere 1949-1994 – La misura dell’equilibrio. Fondazione Magnani Rocca. Fino al 2 dicembre 2007 (Catalogo Silvana Editoriale).

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