Nel Museo Civico di Borgo San Sepolcro quattro lavori di Piero della Francesca dialogano con altrettante opere di Alberto Burri, di cui si celebra il centenario della nascita.
A prima vista, ci si chiederebbe cosa leghi l’arte astratta, informale, materica di Burri alla sublime simbologia dei corpi e degli spazi di Piero. Certo, non l’iconografia, né lo stile, né l’epoca. Il Rinascimento di Piero è altissima geometria, storia senza tempo, luminosità cristallina. Il novecento di Burri è plastica e sacco, materialità, luce ora bassa ora abbagliante. Cosa dicono il Risorto di Piero, aperto sull’alba del mondo con grandi occhi bizantini; e ancora il Polittico della Misericordia con il suo paradiso di santi immateriali o il sospeso san Ludovico e l’inquieto san Floriano?
E, di rimando, di cosa parlano il Sacco e tela del ’56 tappezzato di grigio; il Rosso Plastica del ’62 spugnosa materia, il Grande Bianco Cretto del ’74,paradiso delle screpolature dell’essere, il Cellotex del’75, cupissimo anelito all’infinito?.
Due mondi apparentemente incomunicabili e incomunicati. Ma l’arte vera, sa dialogare sfondando i secoli ed oltrepassandoli. Piero e Alberto sono entrambi cercatori dell’Assoluto. E l’Assoluto vive e parla nel silenzio. Quel silenzio “infinito” leopardiano che il poeta di Recanati ha espresso liricamente, ma che è dentro ogni autentico artista di sempre.
Poeti del silenzio, sono Alberto e Piero, un silenzio che è quiete profondissima, estasi oltre il corpo, oltre la materia. E in questo tacere del Tutto, l’anima di chi guarda diventa contemplativa. E vede nelle crete di Burri le parole impronunciate dei santi di Piero, nei liquami del Rosso Plastica la luce bianca del Polittico e nel Sacco il silenzio del mondo prima e dopo la resurrezione.
In questo vuoto delle parole i due artisti dialogano. E noi con loro. Non ci sentiamo smarriti. Anzi.
Fino al 12 marzo (catalogo Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri).
Mario Dal Bello