Buona la prima? No, per Marini è flop

Il candidato condiviso da Pd, Pdl, Lega e buona parte di Scelta Civica, non raggiunge il quorum previsto per la prima votazione (672 voti) fermandosi a quota 521. Pressocché inutile anche il secondo scrutinio, che fa registrare una prevalenza di schede bianche. Si cambia cavallo? Difficile possa essere Rodotà
Elezioni del presidente della Repubblica

Prima votazione Impallinato da fuoco amico. Sono venuti a mancare a Marini 224 voti potenzialmente previsti, ma soprattutto i voti di una novantina di deputati del PD in gran parte confluiti su Rodotà (240 voti) – il candidato indicato dai 5 Stelle, condiviso da SEL e da ampi settori della società civile – oppure indirizzati su altri nomi (Chiamparino, Prodi, Bonino, D’Alema, Finocchiaro, Napolitano). Significativo, in negativo, anche il numero (120) di schede bianche e nulle. Evidenti le lacerazioni nel PD: bordate al segretario  Bersani giungono da Renzi e Veltroni, con l’invito a cambiare rotta, mentre D’Alema invita a ricercare la coesione.

Fumata nera anche alla seconda votazione, perché PD e PDL avevano preannunciato la loro astensione. Come da copione, quindi, hanno vinto le schede bianche. Non si attendono novità neppure al terzo tentativo (che sarà fotocopia del secondo). Nel pomeriggio di venerdi la situazione potrebbe sbloccarsi, bastando dal quarto scrutinio la maggioranza assoluta (504 voti). Ma non si escludono sorprese ed il centrosinistra potrebbe puntare su un nome diverso da quello di Marini in grado di sanare le fratture emerse nel PD. Ma dovrebbe risultare non sgradito anche al Pdl, il cuisegretario Angelino Alfanochiede ufficialmente che «si individui la soluzione più idonea  per eleggere il presidente della Repubblica già al quarto scrutinio». Sembrerebbe improbabile che si possa trovare la quadratura del cerchio (unanimità dentro il PD e condivisione anche da parte del PDL) sulla candidatura di Rodotà. Verrà fuori un altro nome.

La contrapposizione fra Marini e Rodotà, ad onor del vero, appare a molti un tantino strumentale, perché tutti e due hanno, a lungo ed in modo significativo, contrassegnato la loro presenza in ambito pubblico evidenziando aspetti in certo modo speculari, pur con i dovuti distinguo.

Entrambi ottantenni (classe 1933): appena compiuti (il 9 aprile) da Marini, il prossimo 30 maggio da Rodotà. Entrambi hanno ricoperto ruoli di rilievo nella società: in campo sindacale il primo (nella CISL, dicui é stato nel 1965 segretario generale aggiunto della Federazione dei dipendenti pubblici; negli anni settanta sarà vicesegretario nazionale e poi nel 1985 segretario nazionale); in campo accademico il secondo (docente didiritto civile in diverse università, non solo in Italia -Macerata, Genova, Roma- ma anche all’estero -in Europa, negli USA, in America Latina, in Canada, in Australia, in India-).

Entrambi con un lungo percorso di militanza politica all’interno dei partiti: DC, PPI, La Margherita, PD, da parte di Marini. Partito Radicale, PCI, Sinistra indipendente, PDS, da parte di Rodotà. Entrambi più volte parlamentari: Marini è stato deputato per quattro legislature (dalla XI alla XIV) e poi senatore per altre due (XV e XVI). Rodotà è stato anch’egli deputato per quattro legislature.

Sia l’uno che l’altro hanno ricoperto ruoli di prestigio nel Parlamento italiano: nel 1991 Marini è stato ministro del lavoro del VII governo Andreotti e nel 2006 Presidente del Senato; Rodotà è stato membro della Commissione Affari Costituzionali e successivamente anche componente della prima e della seconda Commissione bicamerale per le riforme istituzionali.

Entrambi sono stati europarlamentari: Marini nel 1999; Rodotà dieci anni prima, allorché diede il suo contributo all’elaborazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Una differenza, fra le altre che certamente si possono individuare, balza in evidenza: Rodotà, dopo la sua quarta legislatura, decise nel 1994 di non ricandidarsi più, ritornando all’insegnamento universitario; mentre Marini, dopo aver ottenuto ancora una deroga dal suo partito, è stato candidato al Senato ancora alle ultime elezioni del febbraio scorso, senza peraltro risultare eletto.

Con tutto il rispetto che entrambi meritano, si fa davvero un po’ fatica a presentare sia l’uno che l’altro come “il nuovo che avanza”. Ma attenzione: dietro le quinte, altre figure incombono con altrettanta difficoltà ad essere identificate come espressione di un cambiamento epocale per il Paese.

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