Buon compleanno, Lucio!

Il rapporto del grande artista bolognese, Lucio Dalla, con il cinema non è scontato ma ha avuto un grande rilievo nella sua vita. Oggi, 4 marzo, ricordiamo Lucio, mettendo in evidenza il suo contributo come autore di colonne sonore e interprete di film
Foto Vincenzo Livieri - LaPresse

Oggi è il 4 marzo, e come sempre saltella dentro di noi quella canzone dolce di Lucio Dalla: 4 marzo 1943; a ricordarci che sarebbe, e in fondo un pochino è ancora, il suo compleanno. Perché la sua data di nascita, lo sanno anche i muri, offre il titolo a quella quasi filastrocca del 1971, presentata con qualche modifica a Sanremo, dove un uomo venuto dal mare parlava un’altra lingua però sapeva amare, e una che cantava strofe di taverna stringeva il figlio al petto che sapeva di mare. Lo stesso mare che luccica su una vecchia terrazza del golfo di Sorrento, in un’altra memorabile canzone del cantautore bolognese, e potremmo andare avanti per ore a rimarcare la bellezza dei testi e della musica di Lucio Dalla; citiamo solo «conosco un posto nel mio cuore dove tira sempre il vento», e poi lasciamo ad altri, più competenti, il compito di ragionare sulle melodie e di recensire i versi poetici dell’artista emiliano.

Preferiamo dire tanti auguri Lucio Dalla, oggi, in questo 4 marzo 2020, parlando di un suo amore minore rispetto a quello smisurato per la musica, ma comunque vero: quello di Lucio Dalla per il cinema. Un amore nato negli anni della giovinezza, mentre già suonava insieme a Pupi Avati, che si accorse del genio vivo nel corpo dell’amico e fece le sue riflessioni: a differenza di Dalla, e forse proprio grazie a Dalla, Pupi lasciò la musica e iniziò a riempire di cinema la sua vita. Incroci, bivi, percorsi, viaggi determinati spesso dal talento, e che ci vuoi fare se il giovane Lucio era più bravo col clarinetto e col saxofono che davanti – o dietro – alla macchina da presa. Eppure per il cinema è passato, col cinema ha flirtato, giocato, amoreggiato.

Gian Mattia D'Alberto/LaPresse Lucio Dalla nel 2006 a Venezia per la 63° Mostra del cinema come autore e interprete delle musiche del film "Quijote".
Gian Mattia D’Alberto/LaPresse Lucio Dalla nel 2006 a Venezia per la 63° Mostra del cinema come autore e interprete delle musiche del film “Quijote”.

Il bacio più importante, al di là della partecipazione a qualche musicarello in cui faceva se stesso (Questo pazzo pazzo mondo della canzone, Altissima pressione, Little Rita nel Far West, I ragazzi di Bandiera gialla, Quando dico che ti amo), tutti più o meno della metà degli anni ’60, Dalla se l’è dato con un film dal titolo I Sovversivi. Era il 1967, era il terzo film di due fratelli che sarebbero diventati maestri indiscussi della settima arte: Paolo e Vittorio Taviani. Interpretava uno dei protagonisti: Ermanno, in un film corale e importante dove diversi personaggi arrivavano a Roma per partecipare ai funerali di Palmiro Togliatti. C’erano le inquietudini giovanili che sarebbero presto sfociate nel ’68, dentro quel personaggio che rimane il più importante della sua carriera d’attore, insieme, forse, all’ultimo in un film poco noto e poco omologabile, tanto strano quanto bello, un film del 2006 dal titolo Quijote, diretto dall’artista Mimmo Paladino.

Dentro quella sperimentazione ibrida, d’autore, presentata nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia, Lucio Dalla costruiva uno splendido Sancho Panza tra cinema, teatro e letteratura, accanto al Don Chisciotte di Peppe Servillo. In mezzo a queste vette ruoli poco rilevanti per Dalla, in film raramente belli come Questi fantasmi, di Renato Castellani, del 1967, tratto da Eduardo De Filippo, ed altri non memorabili, come Amarsi male del 1969, di Fernando di Leo, o Il prato macchiato di rosso del 1973, di Riccardo Ghione, come Santo patrono del 1975, di Bitto Albertini, e La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone, sempre del 1975, di quel Pupi Avati con cui ebbe anche qualche ruggine, ma poi la scartavetrò collaborando alle colonne sonore dei film Gli amici del Bar Margherita – per un omaggio evocativo alla Bologna anni ’50 di entrambi – e il successivo Il cuore grande delle ragazze. Musicò anche Antonioni in Al di là delle nuvole, Monicelli per I picari e produsse la musica per il Pinocchio animato di Enzo D’Alò.

Realizzó anche un piccolo omaggio al cinema: era sua, di Dalla con gli Stadio, la mitica sigla di Lunedì film, quella che andava tutte le settimane prima della messa in onda di un lungometraggio. C’era poi il cinema amato da Lucio Dalla, visto e rivisto: quello di Visconti, Pasolini, Ford, dei fratelli Coen, ma anche Matrix e Il gladiatore. Accanto a quello bellissimo, sottile, inafferrabile, scritto in certe sue canzoni: Anna e Marco, per esempio, che potrebbe essere il soggetto breve, lo spunto per un film, con quelle due giovani solitudine di periferia che decidono di amarsi e forse si salvano «tenendosi per mano».

Eleonora Giorgi e Carlo Verdone in "Borotalco".
Eleonora Giorgi e Carlo Verdone in “Borotalco”.

C’è infine, per fortuna, un bell’omaggio che il cinema ha reso a un grande artista più che simpatizzante, appassionato di film. Lo ha realizzato Carlo Verdone nel 1982, chiedendo a Lucio Dalla di firmare le musiche per quel gioiello che è Borotalco, ricambiandolo regalandogli un ruolo sfuggente eppure centrale nel film, una magnifica presenza/assenza, costruendo intorno a lui il personaggio di una giovane sua fan, Eleonora Giorgi, pazza per Lucio Dalla e disposta a tutto pur di andare a un suo concerto. Lo stesso regista ha ricostruito quella collaborazione in un’intervista, raccontando uno spassoso aneddoto: «Quando iniziai a girare Borotalco – spiega Verdone –, chiesi a Dalla di farmi le musiche. Lui mi aveva visto in televisione ed era rimasto molto colpito da quello che facevo». Dalla ci pensó su e poi gli disse che gli avrebbe dato qualche sua canzone: «Ti metto accanto il mio gruppo, gli Stadio, e insieme faremo una bella colonna sonora, pero dimmi che farai un bel film, e quando sarà finito – aggiunse Dalla – me lo devi far vedere». Lo voleva vedere, secondo Verdone, perché probabilmente se lo avesse trovato brutto avrebbe chiesto di togliere il suo nome o di metterlo piccolo. «Ma il produttore Cecchi Gori prima di far vedere il film a Dalla uscì con dei cartelloni immensi  che avevano il nome di Verdone piccolo e quello delle musiche di Lucio Dalla scritto in grande. Come a dire – continua Verdone –, credo più a Dalla che al regista e attore». Quando Dalla vide lo striscione che dava l’idea che si trattasse di un suo film, telefonò arrabbiato a Verdone, il qual rispose: «Lucio, perdonami», ma Dalla replicó che avrebbe visto il film la sera stessa e se non gli fosse piaciuto avrebbe addirittura fatto causa a Verdone. «Mi lasciò con un patema d’animo, ma la mattina dopo, alle otto e mezza – ricora Carlo Verdone – squilla il telefono ed era Lucio Dalla». Era entusiasta:«Carletto mio, ma tu mi hai fatto un omaggio straordinario, il film è tutto un omaggio a me, è bellissimo, l’ho visto per terra, sdraiato, non c’era posto, certo il mio nome doveva essere un po’ più piccolo ma dai, va bene così».

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