Brexit, le grandi aziende abbandonano Londra

Il Regno Unito dice addio all’Unione Europea e numerose multinazionali lasciano il Paese provocando un rallentamento della crescita economica e la perdita di investimenti

Il Regno Unito ha già sofferto per la Brexit dal punto di vista politico interno ed internazionale, ma anche l’economia è un settore in crisi, indipendentemente dal fatto che l’uscita del paese dall’Unione Europea (UE) il prossimo 29 marzo avvenga nell’ambito di un accordo o in modo disordinato. L’inflazione è aumentata e la fiducia dei consumatori è diminuita, danneggiando il settore del commercio. Anche gli investimenti delle imprese sono diminuiti drasticamente, poiché le aziende hanno sospeso i propri piani a causa dell’incertezza sul futuro assetto della Gran Bretagna. Il Fondo Monetario Internazionale ritiene che il Regno Unito vedrà un rallentamento della crescita economica o, nel caso peggiore, una vera e propria recessione.

Grandi aziende con respiro internazionale hanno già lasciato il Regno Unito o stanno considerando di farlo, poiché il paese rischia di lasciare l’unione doganale con l’UE da un giorno all’altro, con conseguenze disastrose. Tra tutte spicca Airbus, leader europeo nella produzione di aeromobili, che ha avvertito che potrebbe dover lasciare il paese se l’accordo con l’UE non andasse a buon fine. Il gruppo ingegneristico tedesco Schaeffler sta chiudendo due stabilimenti nel Regno Unito a causa dell’incertezza. Diageo, società che produce bevande come Smirnoff e Circo vodka, ha già spostato la produzione di vodka dalla Scozia a causa della Brexit verso l’Italia e gli Stati Uniti. Smiffy, storico produttore di costumi con sede a Gainsborough e Leeds da 120 anni, ha spostato la sua sede principale in Olanda. Secondo le stime di Ukie, associazione dei produttori di videogiochi, il 40% delle società di giochi con sede nel Regno Unito avrebbero deciso di lasciare la Gran Bretagna. E come non menzionare Microsoft.

Ma anche piccole e medie imprese britanniche stanno considerando di lasciare il paese. Uno studio dell’Institute of Directors, che raggruppa i datori di lavoro, ha rilevato che il 16% delle imprese britanniche ha già dei piani di ricollocazione mentre un altro 13% sta facendo considerazioni analoghe. Inoltre, le aziende manifatturiere stanno accumulando enormi scorte di magazzino per prepararsi alla potenziale interruzione del commercio con gli Stati membri dell’UE, e non solo.

Essendo Londra una delle capitali della finanza globale, finora all’interno dell’UE ma con un assetto finanziario peculiare, è ovvio che il settore finanziario sia quello maggiormente colpito dalla Brexit, coinvolgendo grandi realtà come Goldman Sachs, Barclays Bank, Deutsche Bank e Lloyd’s of London, il più grande operatore assicurativo specializzato al mondo.

La situazione di incertezza sull’entrata in vigore dell’accordo Brexit ha fatto sì che molte banche e società finanziarie abbiano aperto nuove sedi o spostato il fulcro della loro attività in altri paesi europei, in modo da garantirsi piena operatività nel mercato europeo: Dublino, Lussemburgo, Francoforte e Parigi sono state le destinazioni più popolari. La società di consulenza Ernst & Young ha stimato che il flusso di capitali che ha lasciato la Gran Bretagna sia di circa mille miliardi di dollari e che questo rappresenti solo il 10% del settore bancario e finanziario presente sull’isola, mentre molte società non hanno ancora rivelato i propri piani.

Tutti sono consapevoli che per le società finanziarie una Brexit disordinata sarebbe un incubo, rendendo impossibile per i cittadini europei continuare a fare affari nel Regno Unito e per quelli esterni accedere al profittevole mercato europeo attraverso Londra. Inoltre, Il settore dei servizi finanziari impiega 2,2 milioni di persone in tutto il paese e contribuisce al 12,5% del PIL, generando solo di tasse circa 100 miliardi di dollari, secondo i dati della City of London Corporation. D’altronde, tutto questo comporta l’opportunità per altri Stati membri dell’UE di attrarre investimenti e creare nuovi posti di lavoro. Milano è una piazza finanziaria importante che potrebbe ritagliarsi uno spazio in questo contesto, ma l’incertezza politica, l’eccessiva burocrazia, l’elevata tassazione e i lunghi tempi della giustizia sono un disincentivo per gli investitori stranieri.

 

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