A bordo del Titanic

Una delle più grandi tragedie del mare rievocata a Torino in una mostra con reperti originali recuperati dall’oceano

La storia è stata raccontata da un’infinità di libri e da vari film, l’ultimo dei quali il kolossal di James Cameron vincitore di undici premi Oscar. Si tratta del Titanic, il gioiello della White Star Line che durante il suo viaggio inaugurale da Southampton verso New York, nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912, entrò in collisione con un iceberg e nel giro di poche ore affondò. Dei circa 2200 passeggeri, oltre 1500 persero la vita.

Simbolo di un’epoca di esaltanti conquiste tecnologiche, dei sogni di una generazione, ma anche dell’orgoglio umano scontratosi con l’imponderabile, l’enorme relitto del Titanic giace a 4000 metri di profondità. Dal 1987 al 2010 è stato oggetto di otto spedizioni subacquee finalizzate al recupero di reperti: non però all’interno dei due tronconi in cui esso s’è diviso, in quanto spazio cimiteriale, ma sul fondale esterno abbondantemente disseminato di oggetti.

Le testimonianze raccolte, ormai più di 5000, hanno dato origine ad una mostra itinerante, Titanic. The Artifact Exhibition: che, dopo aver commosso oltre 25 milioni di visitatori in tutto il mondo, è giunta per la prima volta in Italia, a Torino. Allestito presso la Società Promotrice delle Belle Arti fino al 21 luglio, il percorso museale comprende pezzi originali fra cui oblò, rubinetti, stoviglie, spartiti musicali, lampadari; effetti personali, indumenti, gioielli appartenuti ai passeggeri; ricostruzioni in scala reale del celebre ponte principale, di una cabina di prima classe ed una di terza – dove si può percepire il rombo delle caldaie -, mentre una vera parete di ghiaccio dà l’idea della temperatura alle prime ore del mattino del 15 aprile 1912. Audioguide raccontano il momento del cozzo dell’”inaffondabile” con l’iceberg e le varie fasi del naufragio, insieme a testimonianze di sopravvissuti. E poi filmati d’epoca e una sezione dedicata ai 37 italiani selezionati per gestire la prestigiosa cucina di prima classe, di cui 20 provenienti dal Piemonte – e questo spiega la scelta di Torino come sede.

Una mostra ideata per far riflettere e non dimenticare. Fra l’altro mi ha fatto ricordare una conversazione di anni fa con un dotto religioso carmelitano. Si parlava dell’esempio studiato in fisica dei vasi comunicanti, secondo cui un liquido introdotto in uno di essi fa alzare il livello anche negli altri, applicato però al corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. E si commentava come noi uomini siamo così collegati che ciò che accade ad uno si ripercuote su tutti gli altri, nel bene come nel male.

«Quando mi sono convertito – raccontavo al mio amico – ero uno studente liceale con pochi amici e piuttosto introverso. La spiritualità dell’unità mi ha sbloccato, dando inizio ad un cammino interiore nel quale Dio non era più una vaga identità: nasceva con lui persona un rapporto che si esprimeva anche nell’esigenza di pregare. E questa preghiera, fatta non solo di formule, di richieste personali, acquistava respiro, si allargava alla Chiesa e all’umanità intera. Sperimentare la grazia della presenza di Gesù nella comunità suscitava in me sentimenti e interessi nuovi. Prima, ad esempio, non sapevo gran che della cristianità divisa, del problema ecumenico. Le vicissitudini degli altri popoli, la grande causa della pace, erano realtà lontane, davanti alle quali mi sentivo impotente. Ora è diverso. Sento che tutto mi riguarda e su tutto io posso influire con la mia preghiera, con la mia stessa vita (è la questione dei vasi comunicanti!). Io posso, col mio donarmi oggi, contribuire forse anche ad un modo migliore per quelli che verranno. Posso far qualcosa anche per quelli che, non più su questa terra, hanno ancora bisogno di purificarsi…».

Incoraggiato dall’ascolto attento di padre Jesús, volli spiegarmi con un esempio. «Una volta ho letto un libro sul Titanic. Mi ha così impressionato che m’è sembrato di esserci anch’io su quel transatlantico. Alla fine ho provato l’impulso a pregare per quanti erano a bordo in pericolo di vita. Prima del naufragio, capisci? Ora ti chiedo: non può essere che Dio, tenendo conto della mia preghiera futura abbia “cambiato” qualche cosa nello svolgersi degli avvenimenti? È possibile cioè – per il fatto che siamo un corpo – “influire” in qualche modo anche su fatti già avvenuti? O ti sembra strampalato tutto questo…». Padre Jesús mi ascoltava con un’espressione assorta. «Per quanto ne so – prese a parlare a sua volta – , il Padre vede tutto dall’alto e in lui c’è il presente, il passato e il futuro. Chi vive nell’unità come Cristo la intende – e so che questa è la tua tensione quotidiana – vive questa dimensione di eternità o tempiternità perché vive in Dio nel quale sono presenti tutte le cose e tutti gli eventi. Non so dirti di più. Ma so che hai colto nel segno. Occorre però – continuò – vivere “sotto ispirazione”, essere docili per cogliere, nel presente, quegli impulsi dello Spirito nel chiedere e ottenere ciò che Dio vuole».

Appagato da questa risposta, conclusi: «Sai cosa penso? Anche per ciascuno di noi vale il fatto che certe grazie ci arrivano da chissà quali amori invisibili, da chissà quali lontananze di tempo e di spazio».

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons