Il bisogno di un padre

Esce il 21 di questo mese L’ultima luna di settembre, premiata opera prima del regista mongolo Amarsalkhan Baljinnyam. Un racconto meraviglioso di amicizia tra un adulto e un bambino.

Il cinema attuale, a ben vedere, sa riservare delle autentiche sorprese. È il caso del film L’ultima luna di settembre.

Tulga vive in città da tempo, ha una fidanzata e deve tornare in fretta nel villaggio natale dove il padre sta morendo. Il villaggio è sulle colline mongole, tra la steppa larga e infinita, dove vivono quasi solo i vecchi e i bambini in un mondo antico. Tulga assiste il padre che, in fin di vita, gli rivela di non essere il suo vero genitore, così il giovane uomo – che fa lo chef in un hotel a cinque stelle – sa di essere in realtà un orfano. Orfano di padre è pure Tuntuulei, un ragazzino di dieci anni che vive con i nonni e che la madre, che abita in città, trascura. Il bambino è istintivo e selvaggio, analfabeta, ma è avventuroso, forte, attaccatissimo al suo cavallo e al suo villaggio: mai vorrebbe andare in città.

I due si incontrano e si scontrano: c’è aria di sfida che però lentamente si appiana. Nasce un rapporto di stima e di condivisione, l’adulto gioca col bambino – anche lo umilia, da adulto che sa tutto, salvo poi pentirsene – e il ragazzino lo perdona, impara cose nuove. Tulga in effetti riscopre sé stesso bambino, riscopre la sua terra e la sua infanzia e scopre dentro di sé un istinto paterno capace di dare affetto e sicurezza a Tuntuulei: in fondo, entrambi sono alla ricerca di un padre. Ma la luna sta tramontando e Tulga deve tornare in città. L’addio fra i due è straziante. Ma forse le cose non saranno più come prima.

Finalmente un’opera di pura e vera poesia degli affetti, della natura al cinema in un film che tutti – famiglie e ragazzi compresi – dovrebbero vedere per respirare un boccone d’aria pulita. Girato con un amore preciso, una fotografia limpidissima nello scorrere del tempo che squarcia cieli notturni, steppe e interni di tende, e soprattutto inquadra in primi piani i volti, gli occhi, le parole: i sentimenti, i rapporti, i protagonisti ma pure l’ambiente con le feste, le danze, le gare di un mondo minacciato dalla modernità e dalla aridità del sentimento, come la madre che non si fa trovare dal bambino.

Il film racconta tutto con verità semplice ed esplora la dolcezza forte dello scoprirsi padre e figlio con una sensibilità rara. Un film di amore, in realtà. Da non perdere.

In sala

Ritornano la commedia “gialla” e il commissario Poirot insieme ad Agatha Christie nel film Assassinio a Venezia. Girato nella città lagunare tra temporali, onde agitate, notturni orroristici alla vigilia di Ognissanti, racconta la vicenda del commissario in pensione ma obbligato ad assistere ad una seduta spiritica in un palazzo veneziano -decadente e con fantasmi, al solito – in cui avvengono dei misteriosi omicidi, di cui non sveliamo la trama, dato che siamo in una black comedy.

Come andrà a finire? Poirot – doppiato non troppo bene in un italiano francesizzante – dovrà constatare che la ragione non basta nella vita, ma forse c’è qualcosa d’altro dopo la morte…Mescolando fantasmi, vendette, un ragazzino saputello, una ex cantante mozartiana, dei rifugiati e così via, il film non è certo male, è lucido e avvincente, ma forse avrebbe potuto essere meno verboso e osare di più Kenneth Branagh, regista ed interprete. Per gli appassionati.

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