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A Betlemme senza turisti è difficile vivere

di Bruno Cantamessa

- Fonte: Città Nuova

Bruno Cantamessa Autore Citta Nuova

Per il secondo Natale consecutivo niente turisti alla Grotta di Betlemme, a causa del Covid. Crescono le difficoltà di molti palestinesi cristiani che lavorano e vivono grazie al turismo. Per altre minacce alla presenza cristiana in Terra Santa, patriarchi e capi delle Chiese a Gerusalemme hanno rivolto un appello ai governi della regione.

Fuochi d’artifficio davanti alla basilica della Natività a Bletlemme, in occasione dell’accensione dell’albero di Natale. Celebrazione avvenuta senza turisti. Foto Ap

Si era riaccesa la speranza a Betlemme quando il governo israeliano aveva consentito, a partire dal 1° novembre scorso, l’ingresso per turismo agli stranieri, pur con rigorose regole anti-Covid da rispettare. Ma con le varianti Delta e Omicron, il Covid si è di nuovo impennato, soprattutto in Europa e Usa. E sta cominciando a preoccupare la ripresa dei contagi anche in Israele, dove i casi sono raddoppiati nell’ultima settimana. Quindi ingressi bloccati per gli stranieri e, anzi, dalla mezzanotte del 21 dicembre è vietato anche agli israeliani e agli stranieri residenti in Israele di recarsi nei 10 Paesi aggiunti alla lista rossa. E in quella lista ci sono anche l’Italia e, per la prima volta, gli Stati Uniti, oltre a Belgio, Canada, Germania, Marocco, Portogallo, Svizzera, Turchia e Ungheria.

Niente pastori né magi “venuti da lontano” intorno alla Grotta di Betlemme per il secondo Natale consecutivo. L’ultimo Natale prima del Covid, quello del 2019, aveva registrato arrivi da record: per scendere nella Grotta, sotto la Basilica della Natività, c’erano anche 2 ore di fila. Betlemme senza turisti è una sofferenza soprattutto per i palestinesi cristiani che lavorano grazie al turismo dei pellegrini e dei tanti visitatori. E Betlemme, pur distando solo una ventina di chilometri da Gerusalemme, si trova nella parte palestinese della Terra Santa, circondata e separata dal territorio israeliano e dai grandi insediamenti ebraici dei dintorni da un muro enorme e dai relativi checkpoint.

Betlemme è oggi una cittadina con quasi 30 mila abitanti, in maggioranza palestinesi musulmani. Nel 1947 gli abitanti erano solo 8-9 mila e oltre il 75% di loro erano cristiani; nel 2000, prima della seconda Intifada, gli abitanti erano diventati 22 mila, a causa della crescita della popolazione palestinese musulmana, ed i cristiani erano scesi al 23%; oggi sono meno del 10%. In numeri assoluti è una discesa lenta e quasi costante, anche perchè le famiglie musulmane hanno in media più figli e soprattutto perché l’esodo dei cristiani è relativamente più consistente di quello dei musulmani.

Le condizioni di vita non favoriscono certo la permanenza in questi territori. Si tratta anche, ma non sempre, di ostilità vere e proprie nei confronti dei palestinesi (tutti), ma soprattutto di condizioni sociali, di studio, economiche, di lavoro e di opportunità in meno. Certo, si sa, ci sono anche alcuni gruppi radicali che fanno di tutto per ostacolare, condizionare, ridurre la presenza dei cristiani: non da oggi, non solo in Israele, e non solo fra gli ebrei, in vari modi in tutta la regione. E se questo fa talvolta o spesso inorridire e invocare complotti e persecuzioni (veri o presunti) da una parte e/o dall’altra, la maggior parte delle persone cerca di andare comunque avanti e di non arrendersi. Poi è arrivata la pandemia, che si è aggiunta al resto, e chi ce la fa cerca di raggiungere i molti parenti che si sono già trasferiti all’estero, con la differenza che adesso è più difficile di prima.

Questa situazione non riguarda certamente solo Betlemme. I palestinesi della diaspora (tutti, musulmani e cristiani) sono 5,6 milioni. I palestinesi cristiani sono circa 1 milione, e l’85% di loro vive ormai lontano dalla Palestina storica (soprattutto nei Paesi vicini, nelle Americhe e in Europa). Il maggior numero di palestinesi cristiani è ortodosso di varie denominazioni, compresi copti, giacobiti e armeni; ma ci sono anche cattolici: maroniti, melkiti, latini, caldei, siri e armeni; e pure metodisti, prebiteriani, anglicani, luterani, evangelici, pentecostali, battisti ed altri.

I Patriarchi e i Capi delle Chiese a Gerusalemme, hanno pubblicato, il 13 dicembre scorso, una “Dichiarazione sull’attuale minaccia alla presenza cristiana in Terra Santa”. Una dichiarazione che dice e non dice, cercando di rispettare le posizioni anche notevolmente differenti fra Chiese diverse, ma comunque aperte al dialogo fra loro e con le autorità del Paese.

La proposta che in conclusione i leader cristiani fanno è la seguente: “In accordo con l’impegno dichiarato a tutela della libertà religiosa da parte delle autorità politiche locali di Israele, Palestina e Giordania, chiediamo un dialogo urgente con noi Capi della Chiesa, in modo da: 1) Affrontare le sfide presentate dai gruppi radicali a Gerusalemme sia alla comunità cristiana che allo stato di diritto, in modo da garantire che nessun cittadino o istituzione debba vivere sotto la minaccia della violenza o dell’intimidazione. 2) Avviare il dialogo sulla creazione di una speciale zona culturale e del patrimonio cristiano per salvaguardare l’integrità del quartiere cristiano nella Città Vecchia di Gerusalemme e per garantire che il suo carattere unico e il suo patrimonio siano preservati per il benessere della comunità locale, la nostra vita nazionale e il mondo intero”.

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