Bene comune e rabbia sociale, il posto dei cattolici

Intervista al presidente nazionale dell’Azione Cattolica, Matteo Truffelli, sulla situazione politica italiana e le ragioni di un nuovo impegno

Nella veglia di preghiera per l’Italia organizzata il 7 giugno a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio, il presidente della Cei, cardinal Bassetti, ha invitato a «lavorare per il bene comune dell’Italia, senza partigianeria, con carità e responsabilità, senza soffiare sul fuoco della frustrazione e della rabbia sociale».

Il clima politico è, infatti, pieno di conflitti irrisolti. Nel pieno della crisi politica e delle tensioni per la formazione del nuovo governo, fuori da ogni dialettica democratica dove si possono esercitare critiche e valutazioni diverse, sono piombate sul presidente Mattarella delle pesanti accuse che lo hanno raffigurato come un garantedella finanza internazionale contro il volere del popolo sovrano. Gli animi si sono poi rasserenati e una soluzione per varare il governo a guida Lega-M5S è stata trovata. L’Azione Cattolica è stata la prima a prendere posizione a difesa del presidente della Repubblica che esprime la limpidezza di una storia personale di impegno e dedizione al servizio della Repubblica, tipica di una generazione di cattolici democratici che hanno tenuto in piedi l’intero Paese nelle sue fasi più drammatiche, a cominciare dal dopoguerra.

Per comprendere la posizione della più antica e vitale associazione dei cattolici italiani, radicata sul territorio ed espressione di un laicato attento e maturo, abbiamo rivolto alcune domande al presidente nazionale Matteo Truffelli, che tra l’altro è professore di dottrine politiche all’Università di Parma. Prima delle ultime elezioni, Truffelli si è esposto in prima persona per lanciare, assieme a molte altre realtà, la proposta di una nuova agenda in tema di migrazioni, una questione che «mette in luce una profonda crisi dei valori comuni su cui l’Unione europea si dice fondata».

Come si spiega la situazione attuale? Solo con il “rancore” evocato dal rapporto Censis?

I lunghi anni di crisi e di profonda trasformazione politica, economica e sociale che stiamo attraversando hanno senz’altro lasciato un pesante strascico, creando un clima di frustrazione e di fastidio che, in qualche modo, ci avvolge tutti. Un senso di incertezza e di timore nei confronti del futuro, una sensazione di disillusione per un processo di cambiamento che non sembra trovare sbocco, una sfiducia crescente nei confronti della politica, delle istituzioni e della stessa democrazia.

Un clima che non aiuta a ritrovare e ridire le ragioni del nostro stare insieme, del nostro progettare in comune. L’Italia appare sempre più come un Paese lacerato, diviso tra una molteplicità di contrapposizioni non solo ideologiche, ma anche sociali, culturali, generazionali, persino geografiche. Su tutto questo, si innestano le spinte provenienti dall’evoluzione dei linguaggi e degli strumenti della comunicazione e della politica, che pur rappresentando una grande risorsa, comportano anche cattive torsioni del modo di vivere il confronto pubblico, in ogni ambito. In questo orizzonte tutti coloro che vogliono concorrere al bene del nostro Paese sono chiamati a compiere uno sforzo per contribuire, come ha detto più volte il card. Bassetti, a «ricucire l’Italia». Si tratta di aiutare gli italiani a non rimanere schiacciati da un modo di concepire il confronto pubblico che riduce sempre tutto a un referendum pro o contro qualcosa o qualcuno.

Un modo di guardare la realtà che banalizza ogni questione, appiattendo e semplificando tutto. Un modo di discutere che porta con sé un linguaggio carico di ostilità e disprezzo, e che sta avvelenando ogni confronto politico, culturale e valoriale nel nostro Paese. Si tratta allora di farci promotori di un confronto vero, aperto, libero, responsabilizzante.

Da studioso di politica, come legge questo nostro tempo? È possibile promuovere una linea politica in campo economico e sociale se poi esistono i vincoli imposti dai cosiddetti mercati e cioè dai parametri europei così come dalla finanza internazionale e le sue strategie speculative?

I condizionamenti economici, le spinte provenienti dai mercati, dagli operatori finanziari, anche dai cosiddetti poteri forti ci sono, ci sono sempre state, sarebbe sciocco ignorarle, fingere di poter agire senza assumere seriamente le condizioni date. Non basta invocare una politica che non si faccia condizionare dal mercato, bisogna fare i conti con la realtà se non si vuole rimanere travolti da essa. Ma se di fronte alle logiche del mercato la politica è debole, lo è anche per il costante processo di delegittimazione cui è stata sottoposta da molte parti negli ultimi decenni, con il concorso o la complicità di forze politiche e culturali. Il primo passo per rilanciare la costruzione del bene comune è allora quello di ridare credibilità alla politica.

Un compito che spetta tanto alle forze politiche e alle istituzioni quanto all’opinione pubblica, ai mezzi di comunicazione, a tutti noi cittadini.

Il presidente della Cei evoca costantemente l’esempio di La Pira e della grande tradizione dei cattolici democratici. Ma come fa tale rimando a non essere meramente celebrativo di un passato improponibile e comunque controverso (La Pira era isolato e la Dc era anche Ciancimino… )?

Guardare al passato per conoscerlo e per lasciarci ispirare da esso, e in particolare da grandi figure come La Pira, Moro, De Gasperi e Sturzo, è senz’altro una cosa opportuna. Ma è un esercizio che dobbiamo fare non per un senso di nostalgia o di rimpianto. Ancora meno con l’illusione di poter tornare a ciò che è stato. Si tratta di raccogliere questa grande eredità per tradurla in nuove modalità di impegno.

I cattolici in politica, più che irrilevanti, non appaiono incapaci di carica utopica? Come si può concretizzare l’impegno profetico evocato dal papa esercitando una necessaria autonomia da certe strutture gerarchiche della Chiesa? Non sembra un buon esempio il recente esperimento di Scelta civica favorito da settori ecclesiali del dopo Todi…

Il problema principale non mi sembra quello della più o meno accentuata autonomia dalle gerarchie, quanto quello di essere capaci di elaborare e argomentare proposte buone per il Paese. Idee, direzioni di marcia e scelte concrete attorno a cui coagulare consenso, partecipazione, energie. Si tratta di saper suscitare un rinnovato senso di corresponsabilità. Tra i credenti, ma non solo. Penso che oggi più che mai ci sia bisogno che i cattolici facciano tutto

il possibile per non chiudersi dentro un recinto, ma sappiano farsi costruttori di alleanze con le altre energie morali, culturali, sociali che abitano il Paese. Il bene comune è qualcosa che si costruisce solo in comune.

Come valuta la soluzione emersa con il nuovo governo Conte? Quali sono gli elementi di novità che, a suo giudizio, merita tenere sotto osservazione?

Il nuovo governo dovrà essere giudicato per ciò che farà e per quello che non riuscirà a fare, come ogni altro governo. Se devo esprimere un’attesa particolare nei suoi confronti, mi auguro che si dimostri capace di assumere in maniera seria e quindi non demagogica le due grandi domande che mi sembra siano emerse dal voto di marzo: la forte richiesta, da un lato, di un cambiamento radicale della politica, che deve tornare a essere spazio di generazione della speranza; dall’altro, il bisogno di tutela e rassicurazione nei confronti del futuro. Sperando che la promozione dei diritti di tutti non si trasformi in difesa dei privilegi di alcuni.

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