Beatles & Rolling Stones: sempre loro

Iquattro scarafoni albionici e le immarcescibili pietre rotolanti: gira che ti rigira, si finisce sempre lì, soprattutto in tempi di carestia come questi. Cade in questo periodo il quarantennale di entrambe le band, ovviamente accompagnato da regolamentare corredo di iniziative più o meno pregnanti. Tra le più significative val la pena citare la recente rassegna multimediale romana dedicata al quartetto di Liverpool, e la pubblicazione di Forty Licks (Virgin) doppio cd antologico – con quattro inediti – della premiata ditta Jagger & Richards. Se l’iniziativa capitolina (forte di rassegna cinematografica, forum, mostra fotografica, esposizione di memorabilia, special tivù e svariati concerti di coverband) ha avuto per forza di cose il sapore della commemorazione e, insieme, di un appassionato amarcord generazionale; il doppio cd degli Stones è stato concepito come un piccolo monumento sonoro alla rockband per antonomasia, il gruppo più longevo e rappresentativo di una subcultura data per morta infinite volte e ogni volta rinata con sembianze neppur troppo diverse. Nelle loro divergenze parallele, Beatles e Stones hanno incarnato e continuano ad incarnare l’anima bifronte e immutabile del giovanilismo: i primi come voci ormai enciclopediche di una “classicità” pop alla quale centurie di musicisti continuano a rifarsi, i secondi come modello mai decaduto di sempiterna giovinezza. E se all’epoca le due formazioni apparivano ai più in aperta antitesi, oggi è fin troppo facile infilarle nel medesimo calderone delle ribollite per tutte le stagioni o meglio ancora, ragionando col senno di poi, considerarle l’una il complemento dell’altra. Fatto sta che i summenzionati continuano “a tirare” e a fare scuola, così come del resto accade per tutti gli eroi del decennio aureo compreso tra il 1962 e il ’72. Basti pensare a gruppi emergenti come The Strokes (quasi una rincarnazione dei Velvet Underground), i The Music (freschi d’acclamazione come i nuovi Led Zeppelin), i Black Rebel Motorcycle Club (i nuovi Stones?) gli australiani Vines (che rifanno il verso ai Beatles più psichedelici) o i The Coral (un intrigante mix di Doors, Zappa, Pink Floyd e chi più ne ha, più ne metta). Tutte band al debutto in questi mesi, ottimamente accolte da critica e pubblico. Eggià, perché se un tempo scimmiottare questo o quello era considerato un’infamante operazione di sciacallaggio o di bieco riciclaggio, oggi il rifarsi ai mammasantissima dell’antiquariato pop-rock non solo fa molto trendy, ma diventa ormai una specie di certificazione di qualità. È un segno anche questo di quella classicità alla quale accennavamo poc’anzi, ma anche il preoccupante segnale che oggi, almeno in ambito pop-rock, è pressoché impossibile innovare, o per lo meno, che gli spazi di sopravvivenza degli innovatori sono ormai risicatissimi. CD NOVITÀ TAMBURI GIAPPONESI Da.K.T.: un gruppo di ragazzi unito dalla passione per le percussioni, si esibiranno nella Sala 1200 dell’Auditorium Parco della Musica di Roma il 12 novembre. Sul palco, oltre ai percussionisti Hiroshi Motofuji, Ajo e Noriaki Sekiguchi, 13 tamburi di varie dimensioni, combinati diversamente per ognuno dei 10 brani in programma. Accostandosi anche ad altre forme musicali di paesi dell’Asia e dell’Africa, e ad altre espressioni contemporanee occidentali, è nato un nuovo stile che integra la musica del tamburo tradizionale giapponese, il taiko, a quella di altre culture. Dopo l’appuntamento romano saranno il 14 a Sassari. BANDABARDO BONDO BONDO Venus A sorpresa, dopo una lunga gavetta, il sestetto toscano è riuscito a far capolino nelle posizioni alte delle classifiche nostrane. Con pieno merito, perché questo loro nuovo album coniuga con intelligenza humour ed energia, denuncia sociale e un gradevole pinzimonio di folkrock all’italiana, patchanka, riflessioni cantautorali, e ritmi caldi. Un disco graffiante che alterna allegria pop e nostalgiche malinconie. Orgogliosamente indipendente e stradaiola, la banda fiorentina sta finalmente raccogliendo i frutti della propria coerenza. PAULWELLER ILLUMINATION Sony Il nono album del quarantaduenne artista del Surrey è una sapiente commistione di energia rock e suadenze pop. Più che l’eleganza melodica degli indimenticabili Style Council ricorda qua e là le ruvidità degli Jam (la sua prima band) e le vitali atmosfere di certo flowerpower e della swinging London degli anni Sessanta. Forse non lo ricorderemo come un capolavoro assoluto, ma questo Illumination funziona a meraviglia. MANU CHAO RADIO BEMBA SOUND SYSTEM Virgin L’eroe del popolo no-global si riaffaccia ai mercati con uno spumeggiante album registrato dal vivo in giro per il pianeta.Ventinove frammenti di pura energia sonora per oltre un’ora di musica: quasi sempre irresistibile nella forma, talvolta discutibile nei contenuti.

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