Barbara Duran, un mondo di fantasmi

A Roma espone fino al 27 novembre la grande pittrice Barbara Duran con 180 opere, di  cui 122 inedite. Lamento e sogno.
Duran

Una fantasia visionaria, o meglio, onirica. Però quanto mai attenta alla realtà. I grandi quadri, le installazioni, i film di Barbara non hanno nulla di artificiale, di politicamente corretto, nemmeno di indignazione gridata oggi troppo facile per le ingiustizie del mondo. Questa è un’arte fondata sullo sguardo, sulla realtà della natura e delle persone vista come in dissolvenza.

Barbara capta l’anima delle cose, delle persone, ma poi non la tiene per sé, ce lo comunica e le lascia fuggire nell’indefinito. Non nel nulla, ma in una realtà altra, perché possiamo un giorno riprenderle, o meglio ripescarle.

Ma attenzione. Ci vuole un occhio semplice e trasparente per ritrovare e per ritrovarsi.

Le opere di Barbara sono affascinanti in questa rassegna intitolata giustamente White, ossia il colore della luce, della nebbia che attende lo svelamento, dell’incorporeo ma anche attende il corpo.

Sfila la galleria di ritratti di donne, soprattutto, perché la vita è un prisma dalle molteplici facce, dagli innumerevoli colori e profumi. “Noi, dice l’artista, calpestiamo le stesse innumerevoli strade e guardiamo infinite sfumature del cielo e delle nuvole. Noi siamo tutto questo”.

Ecco perché nei ritratti-icone sfilano “ricordi” di Antonello, Piero della Francesca, Rembrandt, Leonardo, Masaccio, e le tante donne nel ciclo giustamente chiamato Icone Mondo (2016-2021), ma anche Pasolini, Giulio Regeni, Che Guevara e molti altri ed altre che hanno vissuto e lottato per il diritto di vivere.

La mostra infatti ha un suo chiaro fil rouge: è la dedica “a tutti coloro che fuggono dalle guerre, dalle ingiustizie, dalla tortura. Alle madri, sorelle, uomini, fratelli, figli”.

Si comprendono allora opere come la vasta Grande Mère, la grande Madre, icona attuale delle antiche dee genitrici di vita; la stupenda, incorporea Deposizione, sfumata all’inverosimile con inusuale delicatezza; l’Artemide/Artemisia che mesce insieme Gentileschi e Caravaggio come difesa di libertà; la reinvenzione della mente oscura in Pasolini/Goya.

C’è una circolarità temporale in tutte queste opere di tecnica varia, che balzano tra passato e presente alla ricerca di una sacralità che si dice laica, per dire non confessionale, ma si tratta di una sottolineatura non necessaria: sacra è la tensione spirituale che muove questi lavori che implicano l’itinerario a qualcosa di più grande pur indefinito.

Ci sono momenti contemplativi di densa suggestione come nel ciclo Is-Land: visioni che emergono fra le nebbie nella oscillazione fra simbolo e realtà. Esistono momenti anche tempestosi, si direbbe urgenti come nei Water Flowers (2018) dalle tinte sul violetto ed il grigio quasi da aurora boreale e poi la serie di Water Colors (2019) dove l’abisso oceanico diventa gorgo vitale.

Forse uno dei momenti più belli sta in una tela del 2019 Instant Leight ove appare una Venezia lontanissima tra pallori fosforescenti, azzurri pallidi e folate di nubi ventose. La sensibilità estrema della pittrice evoca natura e storia, sogno e realtà sul filo della visione, della storia che ricicla o meglio unisce le epoche in un filo ininterrotto.

Ritorna quest’ idea in un lavoro del 2020 (grafite e olio su tela), Appearance: una fluttuante visione violacea dentro un universo irreale di forme indefinite.  È sogno, è visione, è desiderio?

Barbara ci seduce con le sue provocazioni, ci lascia sognare, desiderare, riflettere.  Che cosa? Il mondo delle bellezza indefinibile che scorre nei secoli ed è consolazione per i dolori dell’umanità.  Da non perdere.

Roma, Ex Cartiera Latina, Sala Nagasawa. Fino al 212 novembre (catalogo Studio Urbana)

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