Bar esploso a Roma, c’è legame tra azzardo e mafie?

La liberalizzazione e legalizzazione del gioco d’azzardo ha fatto crescere il fatturato e il giro del denaro del settore senza estromettere la presenza ingombrante della malavita organizzata. Intervisita a Raffaele Lupoli, di daSud, autore del dossier “Clan azzardo”
bar tuscolano

Lo scenario è quello da guerra, con feriti e 40 persone sfollate per il danno alla palazzina. La notte del 26 luglio è saltato in aria un bar nel popoloso quartiere Tuscolano a Roma, non distante dal piazzale dove lo scorso 10 maggio si è tenuta la manifestazione Slot Mob con la partecipazione di un migliaio di persone accorse per festeggiare il coraggio civile dei baristi che hanno rifiutato di fare del loro locale un terminale del gioco d’azzardo legalizzato.

Sull’incidente gli inquirenti sapranno dire di più, ma intanto il primo dato confermato è lo svuotamento del denaro raccolto nelle macchinette delle slot machine del locale fatto esplodere.

Cosa accade a Roma? Come è cambiato il tessuto sociale dei quartieri con l’incentivo dell’azzardo? Lo chiediamo a Raffaele Lupoli, giornalista redattore di Nuova Ecologia ed esponente della vivacissima associazione daSud per la quale ha pubblicato recentemente un dossier sulla presenza delle mafie dell’azzardo nella Capitale: «Clan azzardo. Dalla Banda della Magliana ai Casalesi, dal clan Fasciani alla ’ndrangheta: così i clan si sono divisi gli affari legati alle “macchinette” a Roma»

Come è presente l’offerta dell’azzardo a Roma?

«La metropoli si conferma capitale anche di questo settore con 718 sale slot censite dagli open data del Comune a giugno 2013, per un totale di oltre 50mila tra videopoker e slot machine, comprese le 900 postazioni di gioco della sala di Re di Roma, una delle più grandi d’Europa».

In che modo entrano in gioco le mafie?

«Le mafie investono fisiologicamente il denaro derivante dai loro affari illeciti dove ci sono margini di guadagno più elevati e rischi giudiziari ridotti».  

Quindi, cosa accade in concreto?

«Avviene che imprese in apparenza pulite traggano beneficio dalle “rendite monopolistiche” garantite dalla privatizzazione delle concessioni statali e investono il denaro sporco dei clan.Il confine tra legale e illegale è ormai saltato. Lo afferma in maniera esplicita la relazione 2013 della Direzione nazionale antimafia».

Cosa dice questa relazione dell’antimafia?

«Ecco una citazione molto chiara per capire il fallimento delle liberalizzazioni sostanzialmente bipartisan nel loro intento di drenare risorse alla malavita interessata invece ad entrare nel circuito legale perché «Il controllo del gioco d’azzardo permette di trarre utili su tutte le vincite, sugli interessi sui prestiti ai giocatori che hanno bisogno di contanti per proseguire il gioco, permette di ripulire il denaro sporco, permette di entrare in contatto con persone che hanno disponibilità economiche ed occupano determinate posizioni sociali e che si possono rivelare strumentali per il perseguimento di altre illecite finalità».

Che dati abbiamo su Roma dopo questa liberalizzazione?

«I dati certificati non sono recentissimi ma indicativi perché nella città si è passati da passati da una spesa pro-capite per il gioco di 500 euro nel 2004 a mille e 200 euro nel 2011».

Che tipo di risposta si è avuta in città?

«Finora l’attenzione della stampa così come la legislazione regionale e le iniziative in ambito comunale si sono concentrate finora sul fenomeno del Gioco d’azzardo patologico e, a volte, sui casi di usura legati al gioco»

Cosa manca nell’analisi?

«Ad esempio, non è un mistero che la “banda della Magliana” aveva tra le sue principali e più redditizie attività il controllo delle scommesse ippiche, legali e illegali, legate agli ippodromi di Tor di Valle e Capannelle e del gioco d’azzardo grazie a una fitta rete di bische clandestine in tutta la città. Basta leggere con un po’ di attenzione la relazione della commissione parlamentare antimafia del 1991, guidata dal presidente Gerardo Chiaromonte, nella quale si lanciava l’allarme gioco d’azzardo definito “in preoccupante espansione e sottovalutato dal legislatore».

Abbiamo riscontri più recenti di tale tendenza?

«Sono fatti conosciuti e accertati. Nel marzo del 2013 la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva i 26 imputati dell’operazione Hermes, che nel 2009 ha portato alla luce un’alleanza tra i vertici della camorra napoletana e casertana e imprenditori del gioco, con in testa “il re dei videopoker” Renato Grasso, già in precedenza riconosciuto colpevole di aver imposto con mezzi estorsivi l’utilizzo di apparecchi da intrattenimento. Betting 2000, la società (oggi in liquidazione) all’epoca dei fatti con sede in via Enrico Fermi all’Eur, di proprietà sua e dei suoi familiari, titolare di regolare concessione del ministero delle Finanze, aveva il monopolio della distribuzione delle apparecchiature per sale da gioco in Campania, nelle regioni del Nord e del Centro.  A Roma, già nel 2006 il fratello e socio di Renato, Tullio Grasso, anche lui condannato in via definitiva, inaugurava presso il Parco Leonardo di Fiumicino i totem per le scommesse on line all’interno di Time City, struttura dedicata al gioco e all’intrattenimento».

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