Bamboccioni o amanti della famiglia?

Da una ricerca Censis Coldiretti, emerge che le relazioni e la comunità sono un vero antidoto italiano a crisi e solitudine
adulto genitore

Sappiamo che anche il giornalismo, visto il tourbillon di notizie che ci vengono bombardate ogni giorno, preferisce il fast (la velocità) piuttosto che il più meditato slow (la lentezza). E così la notizia della ricerca del Censis e di Coldiretti su “Vivere insieme, vivere meglio" che esaminava numerose variabili sulla vita degli italiani, è finita nei titoli dei giornali e nei resoconti televisivi con titoli del tipo: «Tornano i bamboccioni, un italiano su tre vive con i genitori»; «La crisi ci rende bamboccioni»; gli «Italiani preferiscono mamma e papà». Se l’effetto era colpire, senz’altro si è colpito il centro, ma se lo scopo era informare allora sarebbe bene capire meglio cosa ci dice questa interessante ricerca che svela aspetti spesso celati nell’immaginario collettivo.

Intanto, si scopre che In Italia le persone che vivono sole rappresentano tre famiglie su dieci, sono aumentate del 24 per cento tra il 2006 e il 2011 e ammontano a circa 7,5 milioni di persone. In una scala inversamente proporzionale, quindi, cresce la domanda di relazioni e di opportunità per stare insieme. Se il 28 per cento degli italiani dichiara di vivere in un luogo in cui le persone si conoscono, si frequentano, si aiutano in caso di bisogno (di più nei comuni piccoli), il 54 per cento vorrebbe invece vivere in un luogo così, con relazioni di frequentazione e sostegno reciproco tra le persone che si conoscono, perché la qualità della vita sarebbe più alta.

Forse non solo per pigrizia, componente sicuramente un po’ presente, né per il prezzo dei carburanti o per la crisi, ma gli italiani hanno il baricentro della loro quotidianità tra i 15-20 minuti a piedi dalla propria abitazione: per la spesa alimentare quotidiana (l’85,2 per cento), per la pratica di esigenze spirituali (76,6 per cento), per il proprio medico (71,6), per la spesa non alimentare (65,6), per la scuola di figli o nipoti (65,2), per servizi sanitari come laboratori di analisi e ambulatori (56,9), per palestre, piscine, o per fare jogging (54,2 per cento). Ahimè, questo baricentro si amplia per raggiungere il luogo di lavoro, che per i due terzi dei nostri compatrioti è ben più lontano di 20 minuti a piedi da casa.

Nonostante tutto sembri dire il contrario, la famiglia continua ad essere il perno delle relazioni affettive e un aiuto concreto per gli italiani, tanto che la comunità coesa viene costruita in primo luogo a partire dalla coabitazione o dalla vicinanza alle abitazioni dei propri familiari. Più del 31 per cento degli italiani maggiorenni abita con almeno un genitore e il 42,5 per cento vive a un massimo di 30 minuti a piedi dalla loro abitazione. Questo bisogno di vicinanza riguarda non solo i più giovani (il 60,7 per cento degli under 30 coabita con i genitori), ma anche i 30-45enni (il 26 per cento coabita, il 43,1 per cento abita nei pressi), i 45-64enni (l’11,4 coabita, il 57 per cento abita in prossimità) e persino gli anziani (il 32,5 per cento coabita). L’accorpamento territoriale delle famiglie che è stato il leit-motiv specie negli anni delle grandi migrazioni da sud a nord e dalla campagna alla città, è anche oggi una risposta ai crescenti bisogni di tutela e non è certo estraneo alla tenuta sociale dei territori nella crisi.

Che il cibo in Italia sia un sacro vincolo di socialità, relazioni e comunità, lo sapevamo bene, ma la ricerca ci rivela che contano sempre di più le relazioni conviviali, che nascono dalla moltiplicazione delle attività che hanno al centro il cibo e il vino. Alle sagre partecipano regolarmente o saltuariamente 23,6 milioni di italiani, di cui 5,3 milioni in modo assiduo. Si tratta di uno straordinario fenomeno culturale, oltre che economico, con un coinvolgimento trasversale rispetto alle classi di età, i ceti sociali, le aree geografiche di appartenenza. Ci sono poi abitudini che, diventando di massa, si trasformano in occasioni di socialità, come quella dell’aperitivo in bar e locali, che coinvolge regolarmente o saltuariamente 16,5 milioni di italiani, di cui 2,5 milioni in modo assiduo. In particolare, gli under 30, che amano la pratica dell’happy hour in compagnia (5,2 milioni). Partecipano a grigliate all’aperto 27,5 milioni di persone, di cui 6,4 milioni regolarmente. Sono numeri che descrivono un alto impatto relazionale per i territori che ne sono coinvolti, con rilevanti implicazioni socio-economiche. Come nel caso del turismo enogastronomico, che coinvolge 12,2 milioni di italiani, di cui 2,3 milioni in modo regolare.

L’omogeneità da una parte e la globalizzazione dall’altra, non sembra abbiano scalfito la tipicità dei territori italiani, intesa come l’insieme di caratteri che distinguono un’area, connotandola agli occhi dei residenti e del mondo intero. Il 94 per cento degli italiani ritiene che il territorio della regione in cui vive abbia una sua tipicità che lo distingue dagli altri. La ricerca ha individuato, in ordine di importanza, quali caratteristiche distintive del territorio regionale soprattutto il patrimonio culturale, storico e artistico, il cibo e il vino, il paesaggio e poi il dialetto locale.

Il boom di attenzione per il cibo è confermato dal successo di trasmissioni e canali televisive, libri e magazine sull'argomento, ai quali ora si aggiungono i social network e dalle relazioni spontanee che si creano in essi che riescono a generare molte iniziative nel territorio in cui si vive.

Pertanto i segnali che ci invia questa interessante ricerca sono innanzitutto le trame di relazioni che si vanno dipanando e che hanno come effetto quello di contribuire a tenere insieme, con una estrema articolazione, modalità e motivazioni, soggettività che hanno anche effetti collaterali quali l’autoaffermazione, rischianodi lasciare gli individui soli.

Inoltre fattori spesso esterni ai valori profondi della persona (le sagre, le feste, gli aperitivi, ecc.) generano, di fatto,socialità, produzione di relazionalità, di comunità, legate a queste attività. Finita la prossimità classica, quella della vicinanza fisica (del vivere nelle corti e nei cortili), è sempre più la rete familiare, ampiamente intesa, ad essere ritenuta importante. Siamo contenti, lo abbiamo sempre detto: insieme è meglio!
 
 

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