Il bambino sui social

Quali sono i rischi che corrono i bambini nell'uso dei social network? E' la domanda che sempre più spesso genitori, insegnanti, educatori si pongono di fronte ad un fenomeno crescente di oggi: la presenza dei minori sui social. Un estratto dal libro "Nasci, cresci e posta" di Simone Cosimi e Alberto Rossetti (Città Nuova; 2017)

 

Anita ha 9 anni e dice di sapere tutto su Facebook perché lo usano la mamma e la nonna. Non ha però un suo profilo, i suoi genitori non vogliono che lo usi essendo un «sito pie­no di gente strana e cattiva, come pedofili e ladri d’identità». Andrei, invece, a 10 anni ha già un suo profilo sul più popo­lare dei social media perché in questo modo può parlare con i suoi cugini e parenti che vivono in Romania. Ma non c’è solo Facebook. Instagram, Snapchat, Musical.ly, in un certo senso anche YouTube, sono tutti social media conosciuti e usati dai bambini con un età anche molto inferiore alla fatidica soglia dei 13 anni. In pochi sanno spiegare che cosa sia un social media e come funzioni, eppure in molti lo usano o desiderano possedere un proprio profilo.

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Attraverso il gioco i bambini danno forma al mondo che li circonda, impa­rando anche a sperimentarne i limiti e le regole. Non c’è quindi da stupirsi se diciamo che un bambino su un social media non fa altro che giocare. Sia l’incontro con persone adulte sia le caratteristiche dei social di cui abbiamo parlato nei precedenti paragrafi contribuiscono però a fare in modo che questo non sia lo spazio migliore per “sperimentarsi” attraverso il gioco. Il fatto che ci possano essere dei social pensati per i bambini, li vedremo nell’ultimo capitolo, può certamente limitare alcuni dei rischi che metteremo in luce adesso, ma nessun social, per sua struttura, potrà mai essere il posto giusto in cui lasciare un bambino a giocare.

Quali sono dunque questi rischi che i bambini incontrano quando accedono a un social per adulti?

Molti bambini non sanno che cosa sia un social media e tendono a identificarlo con lo smartphone. Il ragionamento è logico: siccome Instagram è sullo smartphone, Instagram è lo smartphone. Questa confusione, assolutamente comprensibi­le, alimenta l’idea che le persone che si incontrano navigando su un social network siano dentro al telefono, che non siano persone vere e che non si possano mai manifestare nella re­altà. I bambini si trovano così a vivere all’interno di spazi di relazione, di incontro ma anche di scontro, senza accorgerse­ne. Pensano cioè di essere da soli con il loro smartphone in mano e per alcuni versi non hanno tutti i torti. […]

 

Simona, una bimba di 8 anni, racconta di aver ricevuto del­le offese dopo aver pubblicato un video fatto con Musical.ly. Questo video social network permette di registrare dei video di pochi secondi in cui si balla e si canta in playback una can­zone a propria scelta. Si può anche tenere privato il video, ma i bambini sembrano riconoscere fin da subito che il bello dei social sta nella condivisione, nel farsi vedere e nel mostrarsi. Sempre Simona, del resto, ha paragonato lo smartphone a un palcoscenico in cui ci si può esibire di fronte ad altre persone. Tra l’altro, siccome le offese ricevute provenivano da persone che lei non conosceva direttamente, ha deciso di continuare a pubblicare i suoi video senza dire nulla ai suoi genitori.

Alcuni bambini dicono di avere paura a muoversi sui social dopo che gli è stato detto di stare attenti a pedofili, persone strane, hacker e ladri di identità. Questo timore non impe­disce loro di andarci in quanto la curiosità e la voglia di fare quello che fanno tutti i loro amici è maggiore, ma si chiedono dove si nascondano queste persone cattive dal momento che non riescono a vederle. Se da una parte sanno di dover stare attenti, dall’altra non hanno idea di come fare per evitare un hacker o un pedofilo e quindi continuano a muoversi come hanno sempre fatto, guardando con sospetto lo smartphone che hanno tra le mani.

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La facilità con cui è possibile accedere a contenuti non destinati a minori è imbarazzante. Anche su questo punto i bambini sono molto più attenti e consapevoli di molti adulti. Tommaso, 10 anni, sorridendo imbarazzato dice: «Quando su un video c’è scritto che non deve essere visto da un minore, ad esempio quelli a contenuto amoroso, basta fare finta di avere 18 anni e nessuno ti può dire nulla». Se questo ragionamento viene fatto da un adolescente non ci scandalizziamo più di tan­to (anche se forse dovremmo), ma se viene fatto da chi di anni ne ha molti meno i problemi aumentano. Inoltre, muovendo­si liberamente su social destinati a un pubblico più adulto, i bambini si trovano spesso a contatto con informazioni, noti­zie, commenti, modi di parlare e di esprimersi, non adatti a loro. Si assiste, per dirla con altre parole, a una vera e propria adultizzazione dei bambini.

Molti bambini, sulla scia di quanto fanno gli adulti, con­siderano lo smartphone un oggetto quasi magico, in grado di dire sempre la verità, di eliminare ogni sorta di dubbio e di correggere gli errori e i difetti delle persone. Si capisce bene quanto un atteggiamento del genere nei confronti di questo dispositivo possa metterli nelle condizioni di essere influenza­ti dalle informazioni che provengono da esso. Se poi aggiun­giamo che, attraverso accurati algoritmi, i nuovi media sono in grado di fare arrivare davanti ai nostri occhi non solo le informazioni che stavamo cercando, ma in alcuni casi anche solo pensando, si capisce quanto i social media trovino terreno fertile quando a usarli sono i bambini. Più che insegnar loro a non credere a tutto quello che trovano su un social, cosa del resto già complessa anche con gli adulti, si dovrebbe comin­ciare a non metterli nelle condizioni di esserne influenzati in una fase della loro crescita in cui devono ancora sviluppare, o comunque migliorare, la capacità critica.

 

Da Nasci, cresci e posta. I social network sono pieni di bambini: chi li protegge? di Simone Cosimi e Alberto Rossetti (Città Nuova. 2017)

 

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