Backpack Journalism ovvero giornalismo tecnologico

La traduzione dall'inglese è infelice, giornalismo da zaino o con lo zaino, ma è la nuova tendenza della professione: un reporter in grado di usare videocamera, laptop, servizi digitali e di essere al contempo editor di storie e di emozioni. Tutti diventano creatori di notizie e non serve il tesserino
Giornalista multimediale

Che valore sociale aggiunto potrà mai avere il continuare a lamentarsi dell’informazione tradizionale, quale parziale e tendenziosa, oppure il postare sui social media foto di gatti, nelle più assurde posizioni? Nessuno, evidentemente. E ciò sia per il singolo sia per la società complessa di cui facciamo tutti parte. Ma cambiare le cose è possibile. BPJ, acronimo di Backpack Journalism (http://bpjournalism.eu/) non sarà la cura a tutti i mali, ma una possibile risposta. Chi vuole provare?

Il Backpack Journalism è la nuova tendenza del giornalismo americano che rapidamente si sta diffondendo anche nel resto del mondo: essere un reporter che al contempo è fotografo e operatore video, editore e produttore di storie. Accompagnano il nuovo professionista vari strumenti multimediali, computer portatili leggeri, telefoni satellitari, software di editing economico e fotocamere digitali in grado di restituire al pubblico l'emozione del fatto. Da qui la necessità di avere uno zaino ma anche una professionalità multimediale notevole che non dimentichi però etica e qualità. 

Trenta giovani, provenienti da sei Nazioni, Olanda, Polonia, Italia, Repubblica Ceca, Slovenia e Spagna, hanno accettato la sfida, mettendo alla prova il valore teorico e pratico di questo nuovo approccio. Per una settimana, grazie al sostegno del programma europeo Youth in Action, a cura dell’EACEA – Education, Audiovisual and Culture Executive Agency, si sono incontrati a Jablunkovin Repubblica Ceca. Ne hanno discusso. Ci hanno lavorato su. Ne hanno sviscerato i pro ed i contro. Realizzando anche diversi materiali multimediali, alcuni dei quali consultabili al link: https://www.facebook.com/groups/714388911927576/.

Ma cosa ha voluto dire concretamente BPJ? L’obiettivo è multiplo: da un lato, formare giornalisti, ovvero persone con elevate capacità nel settore editoriale, dall’altro, aiutarli a portare avanti il loro lavoro all’interno di una rete di “giornalismo partecipativo”. Ma non finisce qui. L’idea è che per sostenere questo tipo di giornalisti, in linea con le necessità del nuovo millennio, se così si vuol dire, l’intero sistema, nazionale ed internazionale, deve volere fortemente che tutti i suoi cittadini siano più critici, ma anche più propositivi, allo stesso tempo. Educati, quindi, ad una analisi profonda dei prodotti mediali. Infine, quindi, i media. Questi, vengono così interpretati, come un bene relazionale che sempre più diventa pubblico, ovvero riacquistano il valore di strumenti connettori, come vuole l’originaria etimologia.

Nessuno dei partecipanti, ovviamente, si sente di sostenere che tutto questo sia semplice da realizzare. I livelli che si devono sommare per avere dei risultati sono vari. Ma perché non tentare? Perché non rompere, con coraggio, il muro che divide i cittadini da quello delle notizie? Dal basso, con passione, è possibile cambiare le cose. Evidentemente, prendendo sulle spalle una grossa responsabilità. Ma è assolutamente fattibile. Gli eventi della primavera araba sono qui a dimostrarlo.

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