Bacalov Grandi note per il cinema

All’Hotel Excelsior al Lido, nello stand dell’Ente dello Spettacolo, Luis Bacalov – faccia segnata di una vita intensa – presenta con affettuoso calore il dizionario Musicisti per lo schermo dell’amico Ermanno Comuzio. In seguito, si rivela una di quelle persone con cui si conversa volentieri. Maestro, lei è un musicista che si occupa anche di cinema. Una figura oggi giustamente rivalutata rispetto al passato. Quando ho iniziato a lavorare nel cinema italiano negli anni Sessanta, il musicista che si occupava di film veniva considerato come una specie di lebbroso, insieme a quelli che scrivevano musica leggera. Io e il mio amico Morricone componevamo arrangiamenti per i cantanti della Rca o scrivevamo canzoni, ma gli accademici distinguevano nettamente fra la musica colta, di serie A e la nostra, di serie B o C: la musica leggera o da film, secondo loro, avremmo fatto bene a non scriverla. Nello stesso tempo, c’erano i musicisti dell’Avanguardia: chi non seguiva la loro scuola era stimato quasi un ritardato mentale. Secondo loro, noi avremmo dovuto studiare bene la musica del Novecento per ricominciare a pensare in termini musicali del tutto diversi. Come si vede, erano due posizioni ideologiche molto forti. Poi, da una ventina d’anni a questa parte, sono successe delle novità nel mondo musicale. Parecchi guru accademici degli anni Sessanta-Settanta hanno fatto mea culpa, si sono rimangiate molte definizioni, per esempio di colpo hanno scoperto in Puccini un grande musicista (prima, lo si riteneva una specie di ritardato…); poi è comparso il minimalismo musicale negli Usa con il suo rifiuto di un certo modo di costruire la musica, e infine parecchi autori di musica alta si sono inseriti nel cinema o in altri settori. In verità, nel passato, anche compositori come Prokof’ev e Ravel avevano scritto per il cinema, ma oggi c’è stato un cambio di mentalità. Esso accompagna un lavoro come questo che, nel bene e nel male, è artigianale: ma qualche volta ci capita anche di incontrare l’arte. Ed è un lavoro umile, faticoso, da discutere – talvolta aspramente – col regista o il produttore, di fronte ad un prodotto che non sta in piedi e si vorrebbe il musicista lo raddrizzasse: cosa per me impossibile. Quindi, il dizionario rende in qualche modo giustizia a compositori sottostimati… È il motivo per cui ho accettato di presentarlo. Ripeto, il nostro lavoro consiste nel rendere il film che si sta producendo nel modo musicale più efficace, indipendentemente dalle mie idee estetiche, se no è bene rinunciarvi. Noi, con Morricone, negli anni Sessanta, spesso non rinunciavamo, perché avevamo famiglia: abbiamo musicato film che valevano poco e certo la musica non poteva essere eccelsa… Comunque, il dizionario è un riconoscimento a tutti i musicisti che si sono sporcati le mani – quelli citati e quelli che lo saranno -, perché vuol dire che ormai c’è una visione del nostro lavoro di maggior rispetto. Penso alle pene del mio amico Nino Rota: con- troccorente, perché non aderendo dal punto di vista estetico e ideologico alla musica radicale, scriveva solo la musica di Nino Rota, e basta. Quanto a me, ho scritto diversi tipi di musica, liberamente, senza imposizioni da parte di nessuno. Infatti, io dico sempre quello che penso e porto avanti le mie idee. Non certo con le bombe, ma non le nascondo. Anche se qualche volta, anch’io ho dovuto tacere, purtroppo. Ed ora continua a lavorare per il cinema, e con quale metodo? Lavoro saltuariamente, per due motivi. In primo luogo, il cinema mi chiama di meno, e poi ho altri progetti non cinematografici. Da un po’ di anni, se un film non mi piace, non è nelle mie corde, lo rifiuto: ringrazio gentilmente, dico che questo film non fa per me, o che non lo posso fare. Certo, oggi il lavoro è molto diminuito – negli anni sessanta si giravano 300 film l’anno in Italia, ora solo 80 – mentre i musicisti che operano per il cinema sono cresciuti vertiginosamente. Io, che ho allievi a Siena, all’Accademia Chigiana e a Roma, alla Scuola internazionale di cinematografia, dico: se volete fare del cinema, cercatevi anche un altro lavoro, perché in questo sarete sempre dei precari nella vita. Riguardo al metodo di composizione, io lavoro sulla sceneggiatura, sul primo montaggio o su quello quasi definitivo. Discuto col regista, poi vado a casa. E qui c’è questa ragione abbastanza misteriosa che qualcuno chiama ispirazione o intelletto, altri dono di Dio o dono della natura – dipende se uno è credente o meno -, io non la chiamo da nessuna parte: io faccio, e basta, non lo so. Il mondo è talmente complesso, per non parlare dell’universo, che dire cos’è, è così difficile… Accetto il mistero: a un certo punto mi vengono delle idee, che giudico razionalmente se sono giuste o no. Magari qualche volta, anzi molte volte, sbagliando; ma vado avanti, come fanno tutti i compositori. Lei ha lavorato con Pasolini, Fellini, Scola e tanti nomi celebri. Ha avuto nomination e un Oscar per Il postino. Si sente ancora molto legato a questo film con Troisi? È un film speciale. Ho avuto la fortuna di indovinare il colore, un profumo musicale particolare. Da parte mia, la tradizione latino-americana attraverso il tango, il bandoneon – molto amati da Neruda – per poi scoprire l’italianità delle isole, con le bande locali che sono un po’ la musica che c’era ovunque in Italia prima della radio. Credo che Il postino sia perfetto nella sua semplicità. Ho avuto l’Oscar, non so se meritato o meno, ma non mi importa molto, perché non gli ho mai attribuito troppo valore. Infatti, negli Usa gli Oscar vengono votati da chiunque – anche da chi non è in grado di giudicare – mentre le Nomination sono date da musicisti a musicisti, e per me hanno più importanza. Certo, sono contento dell’Oscar, ma non lo mitizzo: non sono più un ragazzino, devo stare con i piedi per terra. Recentemente, ha avuto molto successo con la Misa Tango, insieme a lavori per l’Opera di Roma e brani sinfonici e strumentali. È un ritorno alla musica classica, allora? Mah, non è che io ami molto queste definizioni. Ci sono lavori classici di una noia mortale e altri popolari invece bellissimi. Perché dovrei dire che quelli perché sono popolari sono di serie B e i classici, anche se brutti, sono comunque di serie A?. Maestro, in questo momento della sua maturità, cosa si aspetta ancora dalla vita? Credo che la vita mi abbia dato più di quello che meritavo: riconoscimenti, famiglia, amori, tante cose per cui come non potrei esser soddisfatto? Spero, se camperò ancora, di far meglio, di guadagnarmi quello che la vita mi ha dato. Dico sempre: i premi si vincono oggi, bisogna meritarseli domani.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons