Aung San Suu Kyi e il perdono al generale

Resa nota la lettera con cui il premio Nobel per la pace perdona chi l’aveva messa in prigione in Myanmar. Una notizia diventata virale sui social, un gesto che è stato definito come «un decisivo passo in avanti verso la riconciliazione nazionale».

L’ex capo delle forze armate del Myanmar, il noto generale Than Shwe, e suo genero, l’ex brigadiere generale Thein Naing, sono forse nomi che non significano molto per i lettori italiani. Per chi invece ha vissuto nella regione negli ultimi 25 anni, hanno un grande significato: sono nomi legati – soprattutto quello di Than Shwe -, ad Aung San Suu Kyi, o come viene chiamata ora, Daw Aung San Suu Kyi. Daw significa “zia” ed è un appellativo onorifico che si dà alle donne di una certa età e classe sociale; è significativo che sia stato dato al premio Nobel della pace che di fatto è il rappresentante più riconosciuto ed accettato del Myanmar a livello internazionale.

La San Suu Kyi è ancora oggi il punto di mediazione tra il Tatmadaw (l’esercito), la popolazione composta ufficialmente da 125 etnie (in realtà molte di più) e la comunità internazionale. La sua è una posizione davvero di grande e difficile equilibrio, perché il Myanmar, di fatto, non ha un governo che si possa dire “civile”, nel senso di “non militare”, nei termini in cui lo concepiamo noi in Occidente. Le forze armate hanno in effetti, per diritto costituzionale (Costituzione che loro stessi hanno scritto) il 25% dei seggi nel Parlamento. Il governo del Myanmar, al momento, di civile ha soltanto il nome. E come potrebbe essere dopo 70 anni di guerra fratricida tra alcune delle molte etnie che costellano il Paese?

Than Shwe è stato un uomo di potere, un militare, famoso per la sua durezza negli anni che lo hanno visto al potere, cioè dal 1992 al 2011: non ha ma dimostrato una qualche forma di pietà. Il suo nome fece scalpore mondialmente per un articolo del Guardian del 2006 che raccontò al mondo lo sfarzo da favola, è il caso di dire da Mille e una notte, per il matrimonio di sua figlia, Thandar Swe, col maggiore Zw Phyo Win: un fiume di champagne, case hollywoodiane, gioielli ed oro a chilogrammi. Le notizie ufficiose parlarono di due chili di gioielli d’oro dati in dono alla sposa mentre la maggioranza dei concittadini non arrivava a due euro al giorno di salario. E non solo questo: c’era pure la notizia della volontà del generale di acquistare, in contanti, la squadra di calcio del Manchester United nel gennaio del 2009, come regalo al suo nipotino, quando solo nel maggio 2008 il generale stesso bloccò gli aiuti umanitari in favore della popolazione inerme ed indifesa dopo il passaggio del ciclone Nargis.

than-shwe-foto-apIl ciclone aveva fatto 140 mila morti e aveva spazzato via intere città vicino alla foce del fiume Irrawaddy. Probabilmente, una gran parte di quei 140 mila avrebbe potuto salvarsi se gli aiuti avessero ricevuto il nullaosta per lo sbarco dalle navi alla foce dell’Irrawaddy.

Than Shwe è nato il 2 febbraio del 1933, ha ricoperto le cariche di primo ministro e capo delle forze armate: ufficialmente nel 2011 ha lasciato gli incarichi ufficiali, anche se due dei suoi fedelissimi, Thein Shein come capo di stato e il generale Min Aung Hlaing come capo delle forze armate, hanno preso il suo posto nelle due cariche fino a quel momento da lui ricoperte. Quest’ultimo, il generale Min Aung Hlaing, nome che oggi viene spesso alla ribalta quando si parla della pulizia etnica dei rohingya, è anche considerato come il principale artefice di tale genocidio. Non solo: la prigionia di Daw Aung Sann Suu Kyi, dal 20 luglio 1989 fino al 13 novembre 2010 è legata a doppio filo a Than Shwe, come vari documenti internazionali attestano. Infatti, nel 1988 Than Swe divenne il vice del famigerato Slor, ovvero State Law and Order Restoration Council, un consiglio formato da 21 militari che guidarono il Paese col pugno di ferro. Nel 1992 ne divenne il capo supremo. Furono proprio quegli anni i più duri per Aung Sann Suu Kyi, che la videro imprigionata a varie riprese, sorvegliata speciale delle forze armate e poi impossibilitata a ogni movimento, in pratica reclusa, nel migliori periodi, nella propria casa di Yangon.

Il brigadiere Thein Naing, di 63 anni, genero dell’ottava figlia di Than Shwe, Daw Khin Pyone Shwe, lo scorso venerdì ha terminato la sua battaglia su questa terra e Daw Aung Sann Suu Kyi ha inviato una lettera scritta a mano, di sincere condoglianze, al suocero e responsabile della sua prigionia, Than Shwe. Una lettera che ha suscito emozione, approvazione, ovazione e anche critiche sul web, in Myanmar.

Alcuni non hanno capito il suo gesto: ora che avrebbe avuto tutto il diritto di tacere, perché invece ha voluto fare questo passo non dovuto verso un uomo che è il diretto responsabile dei suoi 21 anni di prigionia, e della sofferenza di un popolo intero? Eppure, forse è di questo che il Myanmar ha bisogno oggi: di un passo in più, di un qualcosa che non sia dovuto, ma che crei pace, riconciliazione, perdono. Aung Sann Suu Kyi insegna tutto ciò la mondo intero, chiamando il suo ormai vecchio aguzzino “zio”, come si usa da queste parti del mondo: un titolo affettuoso e familiare.

Aung Sann Suu Kyi ha concluso la lettera scrivendo: «Prego per la pace di chi è partito, per te e la tua famiglia». Il nipote del generale Nay Shwe Thway Aung, che ha postato la lettera su Facebook, ha risposto con un semplice commento: «Tantissime grazie».

 

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