«Attraverso la trasparenza del nostro nulla».

Riflessioni sulla mediazione ecclesiale alla luce di alcuni scritti di Chiara Lubich
L'articolo fa seguito alle riflessioni precedenti su Gesù mediatore (cf. Nuova Umanità 1998/3-4) e le applica alla realtà della Chiesa: se Gesù è l'unico Mediatore fra gli uomini e Dio e se, a rigar di termini, non esiste altro sacerdote che lui, in che misura ed a quali condizioni la Chiesa può intervenire nel nostro rapporto con Dio? È appunto attorno a questa domanda che nel XVI secolo esplose grave dissenso fra la Chiesa di Roma e Martin Lutero. E sta qui una delle particolari sfide per la coscienza moderna che è portata ad affermare: «Gesù sì, Chiesa no». Alla ricerca dei punti di riferimento fondamentali, l'articolo prende le mosse innanzi tutto dal Concilio Vaticano II e dalla Scrittura. Emerge così non solo la caratteristica dinamica della mediazione cristiana - essa è e deve essere sempre mediazione all'immediatezza (cf. Eb) - ma anche la centralità del paolino en Christo: soltanto in Cristo la Chiesa può essere «strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (cf. LG 1). Se la sua azione mediatrice dipende dunque totalmente da lui e se lo rende, a sua volta, visibile ed efficace nell'ambito della storia, essa ne deve pure seguire fedelmente lo stile, vale a dire: attuarsi nel più totale svuotamento di sé (cf. Fil 2 e LG 8). Alla luce di queste premesse l'articolo si sofferma su una serie di appunti di Chiara Lubich che evidenziano in termini vitali che cosa voglia dire vivere in pienezza il proprio sacerdozio comune. E trae poi alcune conclusioni per l'esercizio del ministero ordinato. Concependo la struttura sacramentale-ministeriale della Chiesa radicalmente alla luce del mistero pasquale, si potrebbero aprire non solo nuove vie per una maggiore credibilità della Chiesa nel mondo di oggi ma anche orizzonti di speranza per il rapporto fra le diverse Chiese.

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