Assistenza e/o sviluppo

Per capire meglio l’attuale situazione tra i Nord e i Sud del mondo, credo occorra distinguere questi due termini: assistenza e sviluppo. E dopo aver chiarito la loro specificità, occorre saperli coniugare. Ma come? C’è il momento dell’assistenza e quello dello sviluppo. Qual è il senso dell’uno e dell’altro? Assistenza vuol dire provvedere ai bisogni fondamentali: cibo, acqua, casa, medicine, vestiario, scuola, ecc. Sviluppo (inteso qui come crescita economica) significa innescare l’organizzazione delle strutture produttive in modo che si possa provvedere sistematicamente ai bisogni fondamentali dei propri cittadini. Attualmente non funzionano a dovere né l’assistenza né lo sviluppo. Per quanto riguarda l’aiuto allo sviluppo, basti ricordare quanto si sia lontani dal realizzare il primo degli Obiettivi del Millennio, sottoscritti in sede Onu nel 2000, che puntavano allo sradicamento della povertà estrema entro il 2015. Si costata che gli aiuti sono ampiamente insufficienti. Quanto all’aumento dello sviluppo dei paesi poveri, il discorso è ancora più impegnativo. Una visione seria sullo sviluppo di tantissimi Paesi poveri non riguarda solo i governi dei paesi – sia ricchi che poveri – né solo le multinazionali, le organizzazioni non governative, ma tutti, ovvero ognuno di noi. Infatti si tratta letteralmente di cambiare il sistema, tutto il sistema. Di modificare in profondità i nostri progetti di crescita economica, di dare regole giuridiche certe ed eque al commercio internazionale, di dare soluzione al debito estero, ecc. È noto che non è possibile portare tutti i Paesi del mondo al livello dei Paesi più ricchi (cosa insostenibile anche dal solo punto di vista ambientale). E ormai sta diventando altrettanto noto che per poter togliere tanti Paesi dallo stato di povertà estrema sia necessaria quella che oggi si chiama la decrescita. E qui veniamo chiamati in causa noi, i cittadini. Siamo davvero disposti a diminuire i nostri standard di vita da 100 a 80 perché altri esseri umani salgano da 10 a 40? Siamo disponibili a sprecare di meno, a riciclare, ad essere meno consumisti in modo che i nostri governi possano impegnarsi seriamente per lo sviluppo? Non è un discorso moralista, ma di consapevolezza politico-umanista che mira a creare condizioni concrete di salvaguardia della pace, dell’armonia sociale, dell’ambiente, situazioni di vita decenti per l’intera popolazione mondiale. Si può, siamo in grado di farlo. Ma la domanda è: vogliamo farlo?

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