Arriva la banda ultralarga

Parte finalmente il piano del Governo per portare a tutti gli italiani la connessione Internet minima a 30 megabit. Fondi europei e statali. Entro il 2020  
banda ultralarga

Sarà la volta buona che in Italia vinciamo una volta per tutte il digital divide? Si scrive divario digitale, rigorosamente in inglese, si legge “Paese diviso in due”. Da una parte chi ha accesso alla tecnologia, internet ad alta velocità e conseguenti servizi, dall’altra chi naviga con lentezze che bloccano qualsiasi opportunità di progresso.

 

Da sempre, l’Italia fa i conti con queste due Italie. Città e aree urbane da una parte, aree interne, rurali e montane dall’altra. 30 megabit (misura che indica la velocità massima di trasmissione dei dati su una rete informatica) tra le vie di Roma o Torino, 56 kilobit a Balme, Vallo di Nera, Cedegolo. Significa che per caricare un video di 5 minuti su YouTube in città impieghi circa 5 secondi. Nella casa di montagna, 10 minuti. Così è da vent’anni.

 

Ma questa volta, per risolvere questo divario, lo Stato e le Regioni sono pronte a investire oltre due miliardi di euro. Tanti soldi. In tempi strettissimi. Da oggi a tre anni. Nel 2020, secondo gli obiettivi europei legati alla connettività, diritto sancito da tutti i regolamenti UE, tutti dovranno avere i 30megabit. Per arrivare a 100 o 200 nelle zone urbane e oltre.

 

La corsa contro il tempo è già partita. Le aree urbane non saranno oggetto di investimenti pubblici: saranno le imprese che offrono i servizi a migliorare la rete di fibra ottica che comunque è spesso già presente. Il vero problema sono i 7000 Comuni (su 8200 totali del Paese) considerati finora “a fallimento di mercato”, dove le aziende non hanno mai investito sulla rete considerando quelle zone inappetibili. 20 milioni di persone, il 70% del territorio italiano. “Troppi pochi i clienti potenziali”, hanno ripetuto gli ad delle telco, imprese di telecomunicazioni.

 

Così l’Italia ha viaggiato per due decenni a velocità diverse. Il divario è aumentato nel tempo. Oggi, senza un intervento pubblico e grandi investimenti (autorizzati dall’Europa), sarebbe insanabile.

Forse ci siamo. Il Ministero dello Sviluppo economico ha già avviato i primi bandi per le prime Regioni dove partiranno gli investimenti del Piano banda ultralarga. Una vera strategia nazionale. Toscana, Abruzzo, Lombardia e Veneto sono già andate a gara. Solo in Lombardia sono oltre 400 i milioni di euro investiti per cablare i Comuni. Si scava per posare fibra ottica (cavi e reti che consentono passaggi di dati molto più velocemente del tradizionale rame) oppure si utilizzano sistemi senza fili. Seguiranno Piemonte, Valle d’Aosta, Emilia Romagna, poi Calabria e Campania, dove molti interventi sono già stati fatti negli anni passati.

 

Tanti milioni di euro dunque. Fondi europei e statali. Il piano è partito. E le aziende delle telecomunicazioni sono già cadute in una frenetica competizione. Così quelle imprese subappaltatrici che dovranno scavare, per posare le reti. Ma il punto non è solo questo. Investimenti del passato nelle Regioni del Sud come del Nord hanno dimostrato che non bassa aumentare i cavi nel sottosuolo. In molti casi, la fibra ottica è “rimasta spenta” proprio perché, come si diceva, nessun operatore di servizi ha voluto attivarla. Troppo costoso diramare la fibra dalle cabine poste lungo le strade dei Comuni verso ciascuna casa se poi non si riescono a vendere qualche migliaia di pacchetti a 20 o 30 euro al mese.

 

Qui si apre il vero fronte, pericoloso. Anzi, due. Il primo è relativo alle competenze digitali. L’Agenda del Governo prevede formazione partendo dalle scuole e dalla pubblica amministrazione, a tutti i livelli. Siamo indietro e dobbiamo recuperare. Il secondo fronte è quello dei servizi pubblici. Se è vero che la rete ad alta velocità che verrà installata e accesa serve per vedere la tv su internet (con sistemi tipo Netflix ad esempio) o per svago, il fulcro su cui si muove il programma del Governo è da orientare sui servizi che verranno portati alla pubblica amministrazione (e da questa verso le comunità), alle imprese, ai cittadini delle aree interne e finora non cablate. Quelle “a fallimento di mercato” dicevamo. Innovazione e digitalizzazione. Vale per i Comuni, per gli enti pubblici, per la scuola, per le aziende. Posso raggiungerla solo se ho una buona infrastruttura che consenta velocità, sicurezza e stabilità nella trasmissione dei dati sulla rete.

 

Ma bisogna parallelamente pensare a quali servizi portare e a chi li porterà. Questo non è relativo per vincere il “digital divide”. Un esempio su tutti. La banca on line: oggi in metà dell’Italia, per qualche milione di cittadini è inaccessibile, proprio perché la rete è lenta e la connessione può cadere nel bel mezzo di un bonifico (non parliamo poi della corrente elettrica in caso di nevicate o temporali…). Oppure, il fascicolo sanitario digitale, obbligatorio. Eliminerà qualsiasi documento legato al mondo sanità e assistenza. Ma per gestirlo, dal proprio computer a casa o in ufficio, ho bisogno della sicurezza e velocità di accesso. Altro fronte, quello legato ai professionisti che devono produrre tutte le pratiche da e per la pubblica amministrazione in digitale. Oggi è impossibile per un geometra o un architetto pensare di inviare il progetto di un immobile al piccolo Comune del Pollino o della Val Brembana che naviga ancora con sistemi “a 56k”, suo malgrado ovviamente. La sfida è qui: dotarci di rete veloci, necessarie come le strade negli anni Cinquanta, e veicolare servizi efficienti. A tutti.

 

Ultima ma non meno importate necessità è riconoscere e abbattere il digital divide nelle sue articolazioni inaccettabili e più nascoste a chi decide nei Palazzi romani. E cioé tv e telefonia. Nelle aree interne e rurali del Paese, centinaia di migliaia di persone registrano continue difficoltà ad accedere ai canali Rai (nonostante paghino il Canone) e anche a telefonare con il proprio dispositivo mobile, più o meno evoluto che sia. Solo in Piemonte, 600mila piemontesi non vedono Rai3 e dunque l’informazione locale. Nelle vallate alpine lombarde e friulane, trovare un segnale telefonico è impresa ardua. Le colpe non sono difficili da individuare. Anche qui, chi deve investire per assicurare i servizi non lo fa ritenendolo poco remunerativo.

 

L’auspicio è che il Piano banda ultralarga possa risolvere tutte le tre sfere del digital divide, bloccando una spirale che rallenta tutto il Paese, dividendolo e non garantendo i diritti di cittadinanza alla popolazione che vive nel 60% del territorio. Quello rurale e montano, fragile e impervio, affascinante e aspro. Ma non per questo da abbandonare.

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