Argentina e Uruguay insieme per l’ambiente

I presidenti Kirchner e Mujica firmano un documento per monitorare l’inquinamento del fiume Uruguay, oggetto di dispute tra i due Paesi. Critici gli ambientalisti.
Cartiera sul fiume Uruguay

É stato siglato tra Cristina Fernández de Kirchner, presidente dell’Argentina e José “Pepe” Mujica, presidente dell’Uruguay l’accordo che mette fine a sette anni di conflitto tra i due paesi a causa della mega-cartiera finlandese UPM (ex Botnia) accusata di inquinare il fiume Uruguay.La firma è avvenuta al termine della riunione del 28 luglio nella residenza presidenziale argentina di Olivos (periferia nord di Buenos Aires).

 

Soddisfatte le due delegazioni, così come i leader dei partiti dell’opposizione uruguayana, chiamati all’incontro dal Ministro degli Esteri, Luis Almagro.Il presidente Mujica ha attribuito il successo alla «volontà di negoziare e coltivare i rapporti umani poiché le carte non negoziano, negoziano le creature umane».L’argentino Héctor Timermann ha dichiarato in conferenza stampa il suo orgoglio e la sua gioia pensando al fatto che «il fiume Uruguay diventerà, tra poco la prima frontiera con controllo ambientale totale».

 

Il documento firmato determina infatti la formazione entro 30 giorni, all’interno della Commissione amministratrice del fiume Uruguay, di “un comitato scientifico integrato da due scienziati uruguayani e due argentini”, che avrà il compito di “monitorare il fiume e tutti gli stabilimenti industriali, agricoli e i centri urbani che scarichino nelle sue acque, oltre alle aree direttamente interessate dagli scarichi. Nero su bianco si è determinato che «il massimo di ingressi di controllo del comitato in ogni stabilimento sarà di dodici all’anno».

 

Il monitoraggio comincerà con la fabbrica UPM, causa scatenante della battaglia. Il conflitto era cominciato già con il via libera alla costruzione della cartiera Ence, a capitale spagnolo, dato dall’ex presidente uruguayano Jorge Batlle il 9 ottobre 2003. Quattro anni dopo, si acuisce perchè anche l’UPM (ex Botnia) venne autorizzata a costruire e operare. La società civile di Gualeguaychú, una cittadina sul territorio argentino si mobilitò, fino a formare un posto di blocco che interruppe la statale 136 a pochi km dal ponte internazionale “General San Martín”, snodo di collegamento dei due paesi. Ne è nata anche un’Assemblea Ambientale con la missione di ottenere lo smantellamento di Botnia-UPM. Varie, negli anni, le marce di protesta de “la Asamblea” anche a Fray Bentos, a Montevideo e a Buenos Aires. Inoltre, anche gli altri due ponti internazionali di Colón – Paysandú e di Concordia – Salto sono stati bloccati a intermittenza, creando notevoli disagi per le persone e per le merci con gravi danni all’economia e al turismo, poiché l’accesso alle spiagge uruguayane veniva in questo modo impedito.

 

Il contrasto è giunto per vie legali fino alla Corte penale internazionale dell’Aia che nel verdetto del 20 aprile scorso confermava che l’UPM non inquina e ammoniva l’Uruguay, reo di non avere comunicato al governo argentino nei tempi e nei modi stabiliti dal Trattato del fiume Uruguay la decisione di autorizzarne la costruzione. Inoltre ha stabilito l’obbligo del controllo dei livelli di inquinamento su tutto il corso del fiume. Dopo una breve impasse, durante la quale il governo Mujica ha atteso le mosse argentine e lo scioglimento del posto di blocco, ci si è invece trovati davanti alla denuncia penale dell’Argentina contro i leader dell’Assemblea: azione che comunque ha consentito  la sospensione del blocco per 60 giorni.

 

Non mancano quindi critici del documento firmato su entrambi i fronti. Dalla parte argentina, appunto gli ambientalisti di Gualeguaychú, sono delusi poiché sono convinti che il calendario delle ispezioni, che non saranno “a sorpresa”, permetterà di ‘nascondere la spazzatura sotto il tappeto’. Essi si riuniranno in plenaria il 19 di agosto per esaminare la possibilità di riprendere le misure di forza, cosa abbastanza improbabile, secondo fonti a loro vicine. Dalla parte uruguayana, comunque si critica la concessione di ispezionare l’interno della fabbrica e la mancanza di precisione sulla durata delle ispezioni.

Ma i termini dell’accordo, secondo l’esperto Óscar Ventura, chimico quantistico consultato da Radio El Espectador, “superano” lo status quo, perché ampliano i controlli a tutto lo spettro di aziende potenzialmente inquinanti sulle due rive. In quella zona, infatti, è operativo il Parco Industriale di Gualeguaychú, con 27 aziende il cui trattamento dei rifiuti non è di dominio pubblico.

 

Si sa inoltre che le cartiere argentine nel tratto superiore del fiume funzionano con una tecnología superata e sono altamente contaminanti, per cui ci sono responsabilità bilaterali. Ciò nonostante, gli ambientalisti rimangono all’erta, e hanno manifestato il proprio scontento al Ministero degli Esteri argentino. José Pouler, uno dei leader de La Asamblea ha dichiarato su due quotidiani uruguayani El Observador e La Diaria che l’accordo è una «aberrazione totale», e che non si è mantenuta la promessa di monitorare in modo permanente l’UPM  anche con l’installazione di schermi giganti per seguire l’informazione in tempo reale. Sui controlli annuali Pouler ha affermato che grazie al fatto che si stabiliranno le date, UPM «adeguerà tutto affinché durante le ispezioni] non ci siano elementi che dimostrino l’inquinamento». Da qui la richiesta degli ambientalisti di avere una rappresentanza diretta nel comitato d’ispezione che sarà istituito.

 

Ma cosa succederà d’ora in poi?

Intanto si stanno notificando ai leader de “la Asamblea” i rinvii a giudizio per sedizione e omicidio colposo, per impedirgli in qualche modo che si riapra il picchetto che interruppe le comunicazioni tra i due paesi. Gli ambientalisti però non cedono sulle loro convinzioni: “Chi dice che Botnia non inquina, è un ingnorante o un corrotto”. Intanto secondo il chimico Ventura i dettagli sul monitoraggio consentiranno di rivedere anche le legislazioni dei due Stati sull’argomento: troppo rigide quelle uruguayane, eccessivamente permissive quelle argentine. Alla fine a guadagnarne davvero speriamo sia l’ambiente.

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