Aracne, una ribelle ante-litteram?

Aracne osò sfidare gli dei e venne trasformata in ragno. Cosa si nasconde dietro la leggenda? Leggi la prima parte dell'approfondimento sull'apologia del ribelle.
Il mito di Aracne, foto pubblico dominio, Wikimedia commons
Il mito di Aracne, foto pubblico dominio, Wikimedia commons

C’è una celebre figura mitologica, che emerge dalle Metamorfosi di Ovidio. È Aracne, la giovane ragazza della barbara Frigia. Per i Greci, essa è l’emblema della hubrys, cioè della superbia, della tracotanza che, come di solito avviene, sono prontamente punite dagli dei. La dea Atena, offesa dal suo atteggiamento sfrontato, la trasformerà in ragno, condannandola, per contrappasso, a tessere per tutta la vita. È vero, i miti per i Greci, avevano valore eziologico: con questo mito, si insegnava ai bambini perché i ragni si chiamavano aracnidi e perché non si doveva mai dichiararsi migliori o più fortunati, o più belli… degli dei. Non un unico Dio d’Amore vigeva in quei tempi, ma dei pagani, fatti a immagine e somiglianza degli uomini.

Una lettura facile, sembra. Però… se incliniamo un poco lo specchio, tra i bagliori del prisma e le schegge di luce, compare e prende vita un’altra immagine: prima sfocata, poi sempre più viva. È quella di una giovane ragazza con forza d’animo e di carattere rari per quella società, battagliera, ribelle, non disposta ad abbassare la testa e a sottomettersi.

Incerti fra queste due immagini, proviamo a seguire quest’ultima, tanto più vicina ad un’interpretazione moderna. Ci accorgeremo che Aracne potrebbe essere considerata una ribelle ante-litteram, che non si piega facilmente alle imposizioni, dal suo punto di vista, ingiustificate.

In quest’ottica, noi potremmo vedere in lei il rifiuto della maschera pirandelliana che la società e il nostro milieu ci impongono e, ovviamente, della inevitabile infelicità che ne deriva.

Nel mondo greco, le donne avevano un ruolo assolutamente secondario: chiuse nel gineceo, sottomesse prima ai padri, poi ai fratelli, poi ai mariti. Libere solo di tessere, intrecciare stoffe e ricamarle per gli uomini, che intanto potevano partecipare alla vita sociale, andare in guerra, prendere decisioni. La vita della donna si svolgeva nel segreto della casa, con le ancelle, come confermato già nei Poemi omerici. Ma Aracne, non era una qualunque. Nella barbara Frigia, il padre colorava i tessuti della ineguagliabile porpora, ed ella era appassionata del suo lavoro che era divenuto la sua vita. Si applicava a quest’arte studiando giorno e notte, per migliorare se stessa.

E, ad un certo punto, la giovane era divenuta davvero brava, tanto che si dice che le Ninfe dei boschi lasciassero perfino il loro lavoro, per venire a vedere i suoi lavori. E Aracne ne era fiera.

Ma la cosa venne alle orecchie degli Dei, e così Atena fu mandata a controllare. Gli dei… se guardiamo + il mondo di oggi, non smettono mai di esserci: sono le riviste patinate, il mito della bellezza e della fama, il mito del potere e del guadagno facile. Ti sorridono dagli schermi, a noi superiori e modelli.

Così Atena provò ad avvertire la ragazza, sotto forma di vecchietta: non doveva essere troppo felice della sua bravura, e, soprattutto, doveva comunque dichiararsi, inferiore.

Perché? Diceva Aracne. Facciamo allora una gara: che venga Atena. Tesseremo una tela, quella dichiarata più bella, apparterrà alla più brava. Sfidare gli dei, ieri come oggi, è pericoloso. Ma Aracne non demorde, e Atena non può tirarsi indietro.

La gara comincia: Atena ricama una tela con scene in cui si dimostra il potere degli Dei, le vittorie, le punizioni. Aracne, ne intreccia una in cui ci sono i numerosi esempi dei soprusi degli Dei: giovani violentate o prese con l’inganno, uomini e donne punite.

E, alla fine, la tela di Aracne è senza ombra di dubbio la più bella. Le figure sembrano vivere di vita propria, e animarsi sulla tela. La giovane ne gioisce con entusiasmo fra le amiche e le ancelle. La stanza è piena della loro allegria. Una festa di giovani ragazze felici. “Neppure Pallade, o Invidia avrebbero potuto denigrare quell’opera”. A sedici anni, è forse un peccato sentirsi appagati dai buoni risultati? Non è quello che vogliamo per i nostri giovani? È forse un male che una ragazza dopo essersi tanto impegnata, sia soddisfatta del proprio risultato, ed abbia acquisito quella fiducia in sé (che spesso, oggi, andiamo a comprare a caro prezzo degli analisti)?

Ma il mondo accetta solo delle maschere ubbidienti. Di fronte alla vittoria di Aracne, un’ira incontenibile prende la dea: si alza, afferra la tela, la strappa. Poi ghermisce la spola e batte Aracne con violenza, finché il sangue schizza sulle tele. Copre Aracne di parole infuocate e ingiuriose. Vuole ancora che non si giudichi più brava… ed è questo che è dissonante e assurdo, perché – lo sa chi ha fatto l’insegnante tutta la vita – cosa c’è di più bello che un tuo alunno ti superi in bravura? Quale soddisfazione più profonda?

Aracne è terrorizzata e sconvolta; fugge con tutte le sue forze, si precipita fuori, corre, trova un albero. Ha sedici anni. Non pensa, prende una fune e si impicca. Ma accorre la dea, e la tira giù. Perché? forse che solo allora ha un momento di pietà? Forse si pente? No, Atena dice: “Non avrai una soluzione così facile. Tu vivrai…ma tesserai per sempre. Tu, e i tuoi discendenti…”.

Poi spruzza dei succhi d’erbe, e il corpo semivivo comincia a mutare. Crescono delle gambe ai lati del corpo, che si ricopre di peluria. Lo scheletro si contorce. Aracne non può pronunciare più parole umane, ma rigetta qualcosa dalla bocca… argenteo filo che esce senza sosta. E anche mentre cerca di districarsi, i suoi gesti rimangono graziosi e si muovono ad arte: una tela comincia a ondularsi e crearsi intorno a lei, come un disegno perfetto, o una sinfonia. Tutto torna, tutto si lega e prende vigore. Se Aracne si muove, sembra ballare sui fili sottili come seta, forti come l’acciaio.

E la storia ci consegna il ragno, creatura detta aracnide, sinonimo di instancabile (perché ogni volta, per quanto lacerata, si riprende), invincibile (nei buchi neri della natura, negli alberi, al buio, al vento, alla pioggia), forte, carceriera implacabile (di ogni nemico capitati nelle sue trame, di ogni atomo ostile), bellissima come un miracolo (opera d’arte, perfezione naturale).

Mi piace pensare che Aracne sia felice, che, con la sua forza di volontà, non sia una perdente, ma una che si è saputa “costruire” un posto nella leggenda. Mi piace pensare che sia una vincente e non una vittima, e che sia felice, mentre si dondola, pensando di essere su un’amaca, nella sua tela infinita.

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