Approvato il tariffario dei nuovi Livelli essenziali di assistenza

Con un accordo atteso da ormai cinque anni, la Conferenza Stato Regioni ha reso concretamente operativi i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza definiti nel 2017. Un passo avanti fondamentale nel garantire equità di assistenza ai cittadini sul territorio nazionale
Foto: Sasin Tipchai/Pixabay

Un disco verde atteso da ormai cinque anni, nonostante i solleciti non solo della società civile e del mondo sanitario ma anche della Corte Costituzionale – che lo aveva definito fondamentale per la tutela del diritto alla salute sancito dalla nostra Carta: parliamo di quello arrivato dalla Conferenza Stato Regioni ai nomenclatori tariffari dei nuovi Lea, i Livelli essenziali di assistenza, ossia quelle prestazioni sanitarie che devono essere garantite a tutti i cittadini in tutte le Regioni. Lea che, si diceva, erano stati definiti ormai dal 2017; ma che non potevano diventare pienamente operativi in assenza di un accordo sulle tariffe, facendo così di fatto rimanere la situazione ferma a quella che era nel lontano 1996 per la specialistica e nel lontano 1999 per la protesica. Anzi, lontanissimo, se proviamo anche solo ad immaginare quali fossero quasi trent’anni fa le tipologie di prestazioni sanitarie e i loro costi rispetto a quelli attuali.

La questione era, appunto, di soldi: da anni non si perveniva infatti ad un accordo sul fatto che le risorse messe a disposizione dallo Stato, secondo le Regioni, non erano sufficienti a garantire i Lea aggiornati. Accordo che è arrivato ufficialmente il 19 aprile scorso, per quanto annunciato già da alcuni giorni. Il nuovo tariffario entrerà in vigore il 1 gennaio 2024 per la specialistica ambulatoriale e il 1 aprile 2024 per la protesica, con una dotazione di 400 milioni di euro; e comprende diverse prestazioni che ad oggi non erano incluse (circa 400 in più, arrivando a 2.100 in totale), dalla procreazione medicalmente assistita, alla consulenza genetica (ricordiamo che si tratta di un campo fondamentale nella diagnosi e cura di sempre più patologie, non soltanto quando si tratta di mettere al mondo dei figli), a terapie ad alto contenuto tecnologico come l’enteroscopia con microcamera ingeribile, a nuove terapie antitumorali come l’adroterapia, fino ad arti artificiali a tecnologia avanzata e sistemi di riconoscimento vocale e di puntamento con lo sguardo.

In particolare ne beneficia tutto il grande gruppo delle malattie rare, i cui pazienti spesso vengono seguiti fuori dalla propria Regione di residenza là dove c’è un centro, magari l’unico in Italia, che se ne occupa; e che hanno bisogno di terapie non ancora inserite nei Lea magari solo perché di recente implementazione e usate su pochi pazienti. Il che implica una complessa procedura di autorizzazione da parte della propria Regione, che può o meno accordarla e può o meno accollarsi le spese della prestazione; costringendo in tal caso a pagarle di tasca propria – tanto che non sono poche le testimonianze di malati che arrivano a spostare la residenza là dove vengono curati.

Una situazione, quindi, che creava inaccettabili disparità tra cittadini di diverse Regioni – tema ahimè annoso in Sanità: di qui appunto il richiamo della Corte Costituzionale, che ha ora trovato ascolto. Adesso l’auspicio da parte delle associazioni attive nel settore è che si possano compiere anche altri passi sinora bloccati proprio dalla mancata approvazione di questo provvedimento: tra questi il Piano nazionale malattie rare, e la lista aggiornata di patologie da ricercare attraverso lo screening neonatale.

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