Antonino Fogliani. Un direttore in dialogo

Roma, ottobre. Fuoco, generosità, tecnica salda. Antonino Fogliani – Antonello per gli amici -, 28 anni, trascina il pubblico e l’Orchestra di Santa Cecilia aprendo la 60ª stagione Iuc (Istituzione Universitaria dei Concerti) con un tutto Mendelsshon, insieme ad un lirico Salvatore Accardo nel Concerto in mi minore. Accardo è persona di cuore, mi tratta come un figlio: con lui ormai collaboriamo spesso, commenta Fogliani, persona sincera che conosce l’arte della gratitudine. Antonello è in carriera da poco, ma ha bruciato le tappe. Racconta: Amo la musica da sempre, a tredici anno ho composto una Messa a tre voci, così sono entrato in conservatorio a Messina – la città mia e di mia moglie Angelica – a studiare composizione, violino e piano. A sedici ero organista del santuario di Sant’Antonio, dove avevo formato una piccola orchestra. Scrivevo parecchia musica sacra, sforzandomi di farlo con arte – come dice il salmo – e non in modo troppo facilone, come si usa oggi, scordando il grande patrimonio del passato. Ma ho scritto di tutto: alla Donatoni, musica contemporanea, o alla Morricone, di cui ho frequentato un corso di musica per film a Siena, prendendo due volte il diploma di merito. Finché in Fogliani scatta l’imperativo interiore: Ma io devo dirigere. Frequenta un corso a Riva del Garda, dove dirige un’orchestra sinfonica per la prima volta – mi sono sentito tranquillo, a casa – poi a Milano, l’incontro della sua vita artistica, col maestro Gelmetti. Il primo impatto è duro. Gelmetti avverte gli studenti: Se volete dirigere e far carriera, dovrete comportarvi da stupidi, dir sempre di sì e sarete onnipresenti, ma senza personalità . Antonello, che ha il padre ferroviere malato in ospedale, studia con sacrificio al Dams a Bologna, si dice: Ma che discorsi fa? Io ho mio padre che sta male, vengo qui per imparare a dirigere…. Ora capisco meglio – commenta -. La musica non è solo studiare, ma va vissuta insieme ai grandi maestri. Io, con Gelmetti ho vissuto all’Accademia Chigiana a Siena una scuola di vita, oltre che di musica, in cui si parlava di tutto, fino a notte alta, con il maestro che ci raccontava le sue esperienze come a dei figli. Si comprende allora come fra i due sia nata una profonda amicizia, così che Fogliani ne diventa l’assistente in giro per l’Europa, si lancia in un giovanile Viaggio a Reims a Pesaro nel 2001… insomma, entra in carriera. Ultima tappa, Il Turco in Italia al San Carlo di Napoli. Un pubblico numeroso, ancora competente -, cosa oggi rarissima – un’orchestra con cui ho costruito un ottimo rapporto, tanto che l’ultima recita, in cui non mi sentivo bene, l’ho sentita venirmi incontro. In genere, quando arriva un giovane, l’orchestra ti studia per dieci minuti per vedere se vali. Ma io cerco sempre di creare una umanità dialogante, perché credo all’etica nel lavoro, al compito anche sociale di noi artisti, di passare un messaggio contro la mediocrità imperante, possibilmente un messaggio di pace, di fraternità. Il mio mestiere mi potrebbe portare all’arroganza del potere – in fondo sto al centro di un corpo -, una cosa che vorrei evitare nella mia vita. Ricordo di aver visto una volta un Claudio Abbado spostare le sedie insieme agli inservienti a Ferrara: non solo un artista, ma un grande uomo! Ecco, io cerco di pensare che lavoro con persone, non con oggetti: le prime volte restavo male se un orchestrale non mi ascoltava, poi ho capito che la musica è certo importante, ma ci vuole cuore, umanità verso gli altri. Ho imparato anche da un episodio: dirigevo a Santiago del Cile, durante l’intervallo venne una delegazione dell’orchestra a scusarsi se non erano in piena forma perché un loro collega stava molto male: una lezione. Certo, Fogliani sa che chi sta sul podio, tanto o poco egocentrico lo è: Per questo – afferma con foga – ogni artista ha il dovere di essere generoso, ad esempio di impegnarsi pubblicamente per la pace: l’arte non è di destra o di sinistra, cattolica o musulmana, non è neppure fine a sé stessa. Essa esige un impegno civile, un lanciare un messaggio di fraternità in un mondo così decadente come il nostro. Battagliero, lo è Antonello. E fiducioso. Dopo la morte di mio padre – confida – sono in un periodo di ricerca. Ma avverto che c’è un Dio, sento in me una presenza che mi guida, non mi sento mai solo. Ora, l’attende la Francia per la Giovanna d’Arco verdiana a Rennes e a Reims, poi un Rigoletto a Napoli, concerti a Sydney, Bologna, Roma… Il giovane siciliano ha spiccato il volo: sempre in alta quota, gli auguriamo.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons