Antologia dei Balletti Russi

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Nel centenario della nascita dei Balletti russi, l’Opera di Roma ha allestito la celebrazione più completa di titoli. Un riconoscimento internazionale che premia la tenacia di Carla Fracci, che già da anni ha avviato un progetto così ponderoso lavorando al recupero dei balletti originali con l’aiuto di storici e studiosi. Sono tredici le coreografie riproposte della gloriosa compagnia nata dal genio di Diaghilev, l’impresario che diede vita a quella che sarebbe stata l’avventura artistica più rivoluzionaria del Novecento. Proclamava e praticava la fusione fra le arti. E ha influenzato tutto il teatro di danza. Basti guardare solo Le sacre du printemps nella coreografia di Nijinskij e sulla musica di Stravinskj, per rendersi conto di quale modernità fosse anticipatore. Ed era il 1913. Al debutto parigino suscitò scandalo e liti fra detrattori ed entusiasti. Ma il tempo ha reso giustizia, perché continua ad entusiasmare. Rivederlo oggi, infatti, nella versione originale anche nelle scene e nei costumi (riscoperti dalla coppia Hodson-Archer), fa capire dove trovi la sua radice la danza contemporanea. Il Sacre rompeva con la tradizione romantica per via della complessa costruzione: la posizione dei piedi in dentro, i movimenti di profilo, i salti selvaggi, l’uso dello spazio dove guida la figura del cerchio, la ruvidezza dei gesti. Ma non fu il solo a rappresentare una completa innovazione. Jeux, per fare un altro esempio, descriveva una partita a tennis a tre, con la pallina che nel finale si rompeva, metafora della guerra che stava scoppiando. Fucina di sperimentazioni, i Balletti russi riunirono per due decenni le migliori risorse delle avanguardie artistiche all’insegna dell’uguaglianza tra le diverse arti, della massima libertà nel linguaggio e dell’autonomia nell’espressione. Si venne a formare così un’équipe creativa unica che vantava pittori come Picasso, Matisse, Braque, Derain, De Chirico; musicisti come Stravinskij, Debussy, Ravel, Satie; coreografi e ballerini come Fokine, Nijinsky, Lifar, Massine, Balanchine. Di quest’ultimo ancora giovanissimo è, per esempio, La chatte (1927). La fiaba di Esopo di un giovane che si innamora di una gatta trasformata in donna è ambientata dentro una scenografia dal design moderno, di stampo costruttivista. Tra gli altri titoli del ciclo: Petrouchcka, parabola dell’uomo-burattino; Parade, balletto surrealista, senza trama, con scene e costumi di Picasso, con due cerimoniosi impresari incapsulati in impalcature di scatole cubiste e una parata di artisti da fiera; Pulcinella, un omaggio alla Commedia dell’arte, che mescola virtuosismi classici e folklore nella partitura di Stravinskji rielaborata sulla musica di Pergolesi. Da segnalare anche il riallestimento di due rarità: Les biches e Cléopatre. Insomma un’autentica antologia e una ghiottoneria per gli appassionati e non solo. Che ci fa rivivere un’avventura artistica irripetibile, ma emblematica di un fare arte insieme.

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