Annone e Zarafa

Un tempo (ma forse anche ora), per rendersi importanti o ottenere dei favori, i grandi della Terra usavano scambiarsi cortesie e talvolta doni originali, fatti apposta per stupire il destinatario, il quale però spesso non sapeva cosa farsene. È il caso appunto di un elefante e di una giraffa diventati celebri. L’elefante del papa Si è mai saputo che un leone abbia dato ospitalità ad un elefante? Eppure è successo. State a sentire. Agli inizi del XVI secolo dal lontanissimo Pakistan giungevano in dono al re del Portogallo Manoel II due rarità, data l’epoca: un rinoceronte e un elefante bianco. La notizia di queste meraviglie della natura dilagò in tutta Europa. Non molto tempo dopo il sovrano pensò di rinviare il duplice dono al papa Leone X. Mentre però la nave che trasportava il rinoceronte andò a picco insieme allo sfortunato animale, l’elefante giunse sano e salvo a Roma, accolto con tutti gli onori. Era il 12 marzo 1514. Annone – così era stato chiamato il pachiderma – era l’attrazione principale di un sontuoso corteo che tra due ali di folla entusiasta giunse fino a Castel Sant’Angelo, dove lo attendeva il papa in persona. Giunto al suo cospetto, l’elefante si inginocchiò per tre volte in segno di omaggio; quindi, a un cenno del suo custode indiano, aspirò l’acqua con la proboscide da un secchio e spruzzò cardinali e quanti gli stavano attorno. Tutta Roma impazzì per Annone, un po’ come avviene oggi con certi divi dello spettacolo: il popolo perché ne ammirava la mansuetudine ed educazione, la gente colta perché riteneva l’elefante simbolo di pietà, intelligenza ed equilibrio della mente. Lo stesso papa Leone gli si affezionò in maniera incredibile e lo utilizzò in varie feste e processioni. Quasi non passava giorno senza che una schiera di curiosi andasse a fargli visita nella grande stalla del Belvedere allestita appositamente per lui, dove era affidato alle cure di un ciambellano pontificio. Purtroppo, malgrado le attenzioni e le leccornie di cui veniva gratificato, Annone cominciò a deperire: meravigliosi i giardini vaticani, ma la nostalgia delle foreste natie si faceva sentire… soprattutto il clima umido della Città Eterna gli doveva essere fatale. Fatto sta che dopo neanche tre anni il povero elefante morì, con grande rincrescimento del papa (che si dice lo abbia fatto seppellire negli stessi giardini vaticani), ma soprattutto della gente semplice, che lo considerava quasi un portafortuna. La giraffa del re di Francia L’animale che il pascià d’Egitto ha inviato al nostro sovrano è uno dei più felici acquisti che avremmo potuto fare: una giraffa vivente non è mai arrivata in Francia e l’Europa civilizzata non ne ha più viste per diciotto secoli. Così si leggeva in una curiosa lettera indirizzata il 28 novembre 1826 dai dirigenti del Museo di storia naturale di Parigi al prefetto di Marsiglia. In quel porto, infatti, aveva gettato le ancore un veliero con un carico straordinario per quell’epoca: la prima giraffa mai vista nell’Europa moderna, un prodigio di natura offerto dal viceré d’Egitto Mehmet Ali a Carlo X di Francia. Il re ne fu lusingato, ma da persona pratica pensò bene di dirottare l’ingombrante dono verso il Jardin des Plantes di Parigi, una via di mezzo tra l’orto botanico e lo zoo. Questo esemplare era stato catturato ancora cucciolo in Sudan, e per vie misteriose trasportato prima a Khartoum e poi, superando le rapide dell’immenso Nilo, al Cairo, in Egitto. Di lì, su una nave il cui ponte era stato bucato per far uscire l’altissimo collo dell’animale, aveva attraversato – non sappiamo con quanto suo gradimento – il Mediterraneo. Incredibile fu anche il trasferimento a Parigi: si trattava di far percorrere 1000 chilometri alla giraffa, munita di una mantella per proteggerla dal clima più freddo e umido del suolo francese, provvedendo ad ogni tappa a far costruire un apposito alloggio per lei. Che importava se l’impresa costava spese non indifferenti allo Stato? L’orgoglio di possedere un così curioso animale valeva bene qualche sacrificio. Si sa, le giraffe sono inaffidabili a causa dei loro sbalzi di umore. Sembrano così pacifiche con quegli occhioni languidi forniti di lunghe ciglia, e poi d’improvviso per un nonnulla si spaventano: guai allora a chi è alla portata dei loro calci micidiali! Questa figlia del Sudan, invece, si dimostrava straordinariamente mite e arrendevole, come se ce la mettesse tutta a farsi benvolere: forse era consapevole di essere l’ambasciatrice di un mondo esotico, e ci teneva a far bella figura con la progredita Francia? Intanto, in giro non si parlava d’altro che di lei, Zarafa (così era stata chiamata); dovunque passava, sia nelle campagne che nelle città, la gente accorreva come attratta da una calamita; manco fosse arrivato re Carlo in persona! Ma anche in mezzo alla confusione, Zarafa continuava a mostrarsi imperturbabile. Del resto, a incuterle fiducia, aveva accanto uno della sua stessa terra africana: Atir, il suo custode arabo che l’avrebbe accudita per ben 18 anni. Rimasta a lungo l’unica giraffa del Jardin des Plantes parigino, solo negli ultimi sei anni Zarafa ebbe come compagna un altro esemplare più giovane della sua specie. E quando morì il 12 gennaio 1845, fu rimpianta da molti, come era avvenuto con l’elefante Annone. Oggi le sue spoglie imbalsamate si ammirano in un piccolo museo a La Rochelle, sulla costa occidentale della Francia.

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