Annessione Cisgiordania, cioè apartheid

Si avvicina il giorno fatidico in cui Netanyahu dichiarerà che gran parte dei Territori palestinesi faranno ormai parte di Israele? Non mancano le opposizioni, non solo esterne allo Stato ebraico. Intanto i Palestinesi se ne vanno “spontaneamente”.
In questa foto del 21 settembre 2009, un ragazzo palestinese siede nel cortile di casa sua, circondata dallo sviluppo abitativo israeliano, Har Homa, a Gerusalemme est. Un'indagine pubblicata dal quotidiano liberale Haaretz lunedì 7 dicembre 2015, riportava che i donatori statunitensi hanno elargito più di 200 milioni di dollari agli insediamenti ebraici della Cisgiordania negli ultimi anni. (AP Photo/Bernat Armangue, File)

Ai primi di marzo scorso, prima delle ultime elezioni, il premier Netanyahu aveva annunciato le sue «quattro principali missioni immediate», in caso di vittoria: ridurre il costo della vita, firmare un trattato di difesa con gli Usa, sradicare la minaccia iraniana e annettere la Valle del Giordano e le colonie ebraiche in Cisgiordania.

Insomma, l’annuncio non rivelava nulla di nuovo rispetto alla linea politica perseguita da Netanyahu negli ultimi dieci anni, salvo forse l’annessione. Era peraltro ampiamente nota la contrarietà del premier israeliano al principio dei “due Stati” (Israele e Palestina), ma non si era mai espresso in modo così esplicito sull’annessione di una parte cospicua dei Territori palestinesi della Cisgiordania occupati da Israele nel 1967, con la guerra dei sei giorni.

Annessione che riguarda circa un terzo dei territori palestinesi, se si sommano le aree degli insediamenti ebraici e la fertile fascia lungo il Giordano, dove un tempo vivevano 300 mila palestinesi, oggi ridotti a meno di 60 mila.

Nel campo profughi di Jenin (in Giordania), il rifugiato palestinese Ali Abu Jabal, 73 anni, siede davanti al muro dipinto che raffigura la Terra Santa. L'uomo aveva 7 anni quando lui e i suoi genitori furono costretti a lasciare la loro casa nella città israeliana di Haifa. Da allora sogna di tornare nella sua terra. (AP Photo/Muhammed Muheisen)
Nel campo profughi di Jenin (in Giordania), il rifugiato palestinese Ali Abu Jabal, 73 anni, siede davanti al muro dipinto che raffigura la Terra Santa. L’uomo aveva 7 anni quando lui e i suoi genitori furono costretti a lasciare la loro casa nella città israeliana di Haifa. Da allora sogna di tornare nella sua terra. (AP Photo/Muhammed Muheisen)

Se ne sono andati “spontaneamente” per mancanza di lavoro, assenza di servizi, monopolio e costo elevato dell’acqua per irrigare, limitazioni, controlli, requisizioni, difficoltà di ottenere permessi, ecc.

Prima dell’occupazione, la Cisgiordania era abitata da circa un milione di arabi palestinesi, musulmani ma anche cristiani. Oggi gli abitanti sono poco più di 2 milioni, ma quasi 600 mila di essi sono ebrei che vivono in circa 250 “colonie” sparse ovunque nei territori occupati. Questi insediamenti, ritenuti illegali sia dall’Onu che dalla maggior parte dei Paesi del mondo, sono rigorosamente separati dalle città e dai villaggi arabi in mezzo ai quali sorgono, e sono collegati con il territorio israeliano da percorsi, gallerie e strade vietate ai palestinesi. E tutta la regione è circondata verso est da alti muri controllati dall’esercito israeliano.

Il cammino verso l’annessione non è quindi recente, ma dallo scorso anno il processo è stato accelerato dal pesante sostegno del governo statunitense di Donald Trump. A gennaio 2020 è stato presentato da Trump e Netanyahu il piano “Peace for prosperity”, detto qualche volta anche “Accordo del secolo” per la pace tra israeliani e palestinesi. Una cosa è comunque certa: se un accordo forse c’è, non è con i palestinesi.

L’attuale Autorità palestinese, che non brilla certo di iniziativa e non è esente da problemi di burocrazia e inadeguatezza, è compatta nel rifiutare compromessi nonostante le allettanti prospettive di finanziamenti e posti di lavoro per i palestinesi, prospettati dal piano.

L’annessione che Netanyahu dichiara di voler realizzare a partire dal 1° luglio 2020, è già di fatto avvenuta nel 1967 anche se solo di fatto, osserva la parlamentare palestinese Hanan Ashrawi. Netanyahu, aggiunge in sostanza la signora Ashrawi, cerca un riconoscimento giuridico internazionale, e con l’appoggio di Trump ritiene di poterlo raggiungere. Secondo i sostenitori dell’annessione, essa è bilanciata dal riconoscimento ufficiale di un’autorità palestinese. È però un riconoscimento che non comporta alcuna cittadinanza, e diritti connessi, anzi la esclude.

Piani per la separazione delle comunità palestinesi in piccole aree isolate, circondate da muri. (AP Photo/Lefteris Pitarakis)
Piani per la separazione delle comunità palestinesi in piccole aree isolate, circondate da muri. (AP Photo/Lefteris Pitarakis)

Territorialmente sembra ispirarsi alle “riserve indiane” statunitensi: concessione di pezzi di terreno sparsi, scollegati fra loro, e attentamente controllati. Il modo migliore per creare una realtà di apartheid.

Ai numerosi ostacoli internazionali al progetto di annessione (rifiuto dell’attuale Autorità palestinese, minacce di rivolte e proteste anche peggiori della prima Intifada, dura presa di distanza della Giordania, generale ostilità araba anche se talvolta solo di facciata, opposizione dell’Ue e della maggior parte dei Paesi occidentali…) si è aggiunta anche l’opposizione interna di una parte qualificata della società israeliana e persino di qualche istituzione dello Stato.

Bimbo palestinese (AP Photo/Hussein Malla)
Bimbo palestinese (AP Photo/Hussein Malla)

Il 6 giugno migliaia di israeliani, ebrei e arabi, hanno partecipato a Tel Aviv ad una protesta contro le annessioni annunciate dal governo. La cantante Noa, che ha partecipato alla manifestazione, ha detto: «In migliaia, ebrei ad arabi, sono venuti per parlare di pace, di eguaglianza, di due Stati indipendenti… L’annessione è pericolosa e rischia di rivelarsi disastrosa per noi come società, come popolo, come Stato».

Il 9 giugno la Suprema Corte di Tel Aviv ha preso posizione abrogando una norma del 2017 (8 giudici a favore e 1 contro) che legalizzava retroattivamente la costruzione di 4 mila case di coloni ebrei edificate su terreni palestinesi.

 

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