Angeli chirurghi

Un pomeriggio intero in sala operatoria, all’ospedale di Dong Nai, in Vietnam, per fotografare al lavoro il team di medici italiani di Interplast Onlus Italy, un'organizzazione di volontari in chirurgia plastica ricostruttiva. Alle prese, dopo 40 anni dalla fine della guerra, con le malformazioni, diretta conseguenza di quella tragedia
Chirurghi in Vietnam

Non avevo in programma un’esperienza del genere: un pomeriggio intero in sala operatoria, all’ospedale di Dong Nai, a un’ora e mezza di distanza da Saigon. Su invito di una speciale amica, Miss Nguyen Cao Diem Kieu: una donna energica, magrissima ma piena di forza; ho avuto l’opportunità di seguire e fotografare un team di medici italiani di Interplast Onlus Italy, che opera da 25 anni, con già più di 7000 operazioni di chirugia plastica, in un totale di 53 missioni: medici e infermiere che passano le ferie in ospedali nelle parti più svariate del pianeta, per curare e operare gente rifiutata, derelitti, scartati da tutti, provenienti da zone di guerra come Ruanda, Bangladesh, Tibet e quest’anno Vietnam, per un totale di circa 20 nazioni finora, tra le più "periferiche" della terra. Tutto questo reso possibile con l’aiuto della clinica privata vietnamita, Bac Ai (che significa carità) di proprietà della Signora Kieu, con il patrocinio del Consolato Generale d’Italia e la Camera di Commercio tra i principali promotori e sostenitori.

 

Passando in un attimo tutti i controlli dell’ospedale, mi trovo in un mondo completamente diverso: il mondo del dolore. Non si torna mai a casa "gli stessi", dopo un’esperienza diretta col dolore, soprattutto innocente. L’esperienza ti cambia nell’intimo; il dolore umano, soprattutto quello dei bambini, è di un’acutezza incredibile, che ti arriva alle corde più profonde dell’anima, soprattutto se scopri poi che le malformazioni riscontrate oggi sono ancora le conseguenze, dopo 40 anni, dei 40 milioni di tonnellate di "agent orange" versato su di un popolo intero dalle truppe alleate!

 

Ho trovato i medici intenti a fotografare le malformazioni di mani, orecchie, gola, giusto per citarne alcune, perché autentiche rarità sulla terra: solo in Vientam possono essere riscontrate. Un triste primato. Mi trovo davanti a corpi deformati, stesi su un letto operatorio, coperti da lenzuoli verdi sterilizzati, onnipresenti. Capisco le parole di Begnini, che «Dio cerca il dolore dell’uomo perché è il punto di contatto con lui». E il Dio in cui credo ha provato tutto questo: non l’ha rifiutato. Scatto foto, poi mi siedo perché non è facile reggersi in piedi di fronte a quanto vedo. Poi mi rialzo e cerco di fotografare sempre meglio. Vedo i medici, le infermiere e tutto il team, 13 persone, intenti a operare in 3 distinte sale operatorie e io corro da una all’altra per non perdermi nulla o almeno ci provo.

 

Un bambino, di poco più di un anno, bellissimo, ha intorno a sé un totale di 7 medici, che in circa un'ora e mezza "lo rimettono a posto": riescono a operare le manine… Osservo la scena, che ha dell’incredibile, o meglio del sacro; mi ritrovo di colpo in una "cattedrale", dove si tocca la presenza del Divino. È lì, steso su quel letto, davanti a me; ed è in questa gente meravigliosa che ha lasciato i propri cari subito dopo capodanno, per donare speranza e amore a quanti, per anni, l’avevano persa: ridare una vita nuova a questa gente. È questo il mondo in cui credo, quello in cui è possibile trasformare il dolore, di cui la terra è piena, in amore, in un sorriso. A un certo punto, mi trovo circondato dai medici, alla fine dell’operazione, qualcuno ancora con la mascherina e chiedo spontaneamente: «Voi siete angeli oppure uomini di questa terra?». Sorridono e scherzano…poi ripartono per la prossima operazione.

 

Un totale di circa 121 pazienti, adulti e bambini, operati in una decina di giorni; la scena più forte? Una bambina proveniente dalle montagne, con la mamma, nessun parente nel raggio di 8 ore di viaggio, una paura da matti di tutto e di tutti; mi sono avvicinato a loro e col mio ‘broken vietnamita’, come chiamo ciò che cerco di parlare, mi metto a consolare la mamma, mentre le infermiere prendono la bimba. A quel punto la mamma si è seduta per terra per piangere a dirotto:  la prima volta che si separava dalla bambina. Sto con lei qualche minuto, con la mia mano sulla spalla e poi corro in sala operatoria; riescono, dopo tanti sforzi, ad addormentare la bimba: bellissima, ma col palato da ricostruire con una plastica di precisione, come solo questi medici possono fare. L’operazione dura circa 3 ore e finalmente la bimba viene risvegliata e portata dalla mamma di corsa, dall’anestetista: una scena commovente e profondamente umana, nessun filtro, tutto reale. Ritorniamo con il medico per ben 3 volte a visitare la mamma e la bambina: voglio assicurarmi che stiano bene, entrambe, non riesco a lasciarle.

 

Arriviamo alla fine della giornata nella sala dove medici e infermiere si riposano, possono mangiare qualcosa e si cambiano: mi accorgo di aver scattato circa 900 foto. È stato per me un pomeriggio di contemplazione e meditazione, di quanto male la cattiveria della guerra possa provocare ancora oggi, dopo così tanto tempo, e al tempo stesso di quanto amore l’uomo può donare a un altro essere umano.

 

Affido questi bimbi alle preghiere di ogni lettore, al vostro ricordo, perché «con la guerra si perde tutto e non esiste una guerra giusta», come diceva s. papa Giovanni Paolo II; oppure come amava dire Igino Giordani, «la  guerra fa venir fuori il peggio dell’uomo». E alla guerra dobbiamo tutti mettere la parola fine.

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