Ancora nel silenzio

Ho visitato le chiese di Hong Kong, Pechino e Shanghai. Ho parlato con presuli ed esperti. Ho visto fedeli zelanti e ho colto la novità di uno spazio aperto all’evangelizzazione. In effetti il governo cinese ha da qualche tempo mostrato indubbie aperture, alternate a improvvise frenate, come la recente nomina di due vescovi da parte della Chiesa ufficiale senza l’accordo di Roma. La storia del cristianesimo in Cina coniuga assieme l’epopea e l’eroismo. E nello stesso tempo conosce il travaglio e la divisione. Dai tempi della prorompente evangelizzazione di Matteo Ricci e del sacrificio di Francesco Saverio, morto alle porte della Cina, ma mai entratovi, s’è poi giunti alla crisi provocata dai contrasti tra gesuiti e domenicani. Il XIX secolo ha conosciuto una forte penetrazione cattolica, interrotta nella prima metà del XX secolo dalla rivoluzione maoista e dalle persecuzioni provocate dai diktat della rivoluzione culturale. È questo periodo che ha sancito la divisione della comunità cattolica tra i patriottici e i clandestini. In effetti una parte della comunità – i cosiddetti clandestini – non ha voluto accettare le proposte del governo, e tanti suoi membri sono così finiti in prigione. Usciti dal carcere, hanno lavorato nel segreto più totale, fuori legge, sotto la costante spada di Damocle dell’arresto. Un’altra parte dei cattolici – i cosiddetti clandestini, più vicini a Roma – ha invece preferito accettare qualche compromesso, funzionando alla luce del sole fino alla rivoluzione culturale, in seguito alla quale anch’essi sono stati perseguitati, ritrovandosi poi a riprendere la loro missione nella Associazione patriottica controllata dal governo. Negli ultimi decenni, infine, è in corso un riavvi- cinamento tra le due parti della comunità cattolica. Yanli: I rapporti ci sono È in un ristorante vicino alla Città proibita, lungo uno dei larghissimi viali che abbracciano concentricamente il tessuto urbano sconvolto da un numero impressionante di cantieri edili, che incontro il prof. Ren Yanli, membro dell’Accademia cinese delle scienze sociali e dell’Istituto delle ricerche sulle religioni mondiali, di cui è direttore della sezione di studi del cristianesimo. Da tempo è uno dei principali legami tra Pechino e il Vaticano per conto del governo cinese. Tra una portata e l’altra, mi spiega così la situazione: A Pechino non è stata vista di buon occhi la nomina dell’arcivescovo di Hong Kong a cardinale; ma è un affare del Vaticano, in cui nessuno può intervenire. La città ha una grande autonomia, ma la Chiesa cattolica di quella città non ha nessuna autorità sul resto della Cina.Ma aggiunge: La nomina è stata un onore per tutti i cinesi. Lo stato delle relazioni bilaterali sta cambiando, anche se non ci sono ancora rapporti ufficiali tra Cina e Vaticano. Ma i rapporti ufficiosi – prosegue il prof. Yanli – sono frequenti, sin dalla fine della Rivoluzione culturale. Prima la nomina dei vescovi era un atto interno cinese, fatto a prescindere dal Vaticano. Ma non era possibile continuare in questa direzione, come testimoniavano i messaggi che i fedeli cinesi inviavano a Roma. Quasi tutti i vescovi cinesi ufficiali, ormai, hanno questa nomina vaticana, e sono vescovi veri e propri. La situazione quindi è indubbiamente migliorata (l’intervista ha luogo prima della recente frenata, ndr), e ha messo in secondo piano il problema della Chiesa clandestina, anche perché l’apertura economica del paese porta a un riavvicinamento dei patriottici e dei clandestini. Ci sono stati passi in avanti, come ad esempio il riconoscimento del papa da parte dei cattolici patriottici. I sacerdoti, come già si sa, si riuniscono per eleggere il loro vescovo; ma il vescovo afferma in quell’occasione di avere già la nomina di Roma, e così viene automaticamente eletto. Prospettive? Ci saranno ancora alti e bassi, ma la direzione è quella di una progressiva intesa tra autorità cinesi e gerarchia cattolica. Dopo la nomina del card. Zen, il ministro cinese per gli Affari religiosi, Yie Xiaowen, ha dichiarato alla stampa che certi affari col Vaticano vanno affrontati con elasticità, anche la nomina dei vescovi. È stata la prima volta che lo ha detto – spiega il prof. Yanli -, manifestando così un nuovo corso aperto e realistico. Anch’egli è cosciente dei cambiamenti in corso. E Liu Bainian, vicepresidente dell’Associazione patriottica, un laico, ha detto: Tutti i nostri vescovi sono eletti in modo democratico. A Roma forse si sobbalzerà sulle sedie udendo queste parole, ma è una indubbia novità, perché prima si diceva che i vescovi erano stati non solo eletti ma anche consacrati in modo autonomo. Xing Wenzhi: Fattore di unità Pasqua è la festa principale della cristianità, e lo dimostrano anche i cristiani cinesi, che quest’oggi affollano la cattedrale cattolica vestiti a festa, rispettosi e un po’ timorosi. La chiesa neogotica è stipata, si celebrano matrimoni e battesimi. La folla – saranno circa 2 mila i presenti – si accalca in ogni ordine di posti: se la stragrande maggioranza è composta da cinesi, anche la nutrita comunità straniera di Shanghai è ben rappresentata. Alla comunione accedono praticamente tutti gli astanti, in massima parte battezzati. Invece i catecumeni, si accostano all’altare ricevendo una benedizione, con dignità. Nell’episcopio attiguo intervisto mons. Joseph Xing Wenzhi. Quando mi si fa incontro, penso di avere a che fare con il suo segretario tanto è giovane. In realtà ha 43 anni, ed è uno dei primi preti ordinati dopo la rivoluzione culturale. È stato scelto come vescovo ausiliare della Chiesa ufficiale, destinato a succedere al suo anziano predecessore. La novità sta nel fatto che con tutta probabilità prenderà pure il posto dell’anziano e impedito vescovo della Chiesa clandestina. Tra le nostre poltrone campeggia un grande piatto di ceramica che raffigura Benedetto XVI. Quali sono i rapporti tra la Chiesa cattolica ufficiale, chiamata già patriottica, e quella non ufficiale, una volta chiamata clandestina? Non ci sono più grandi conflitti – mi spiega – anche se i contatti tra di noi non sono frequentissimi. I rapporti sono più difficili per gli anziani, in particolare i preti, perché la differenziazione tra le due parti è stata per decenni molto forte, e anche le accuse reciproche. Ora, nella Chiesa non ufficiale i preti non hanno nemmeno un posto per passare la loro vecchiaia, e i giovani preti non hanno una formazione adeguata per evangelizzare. Si ferma, mons. Xing Wenzhi, poi precisa il suo pensiero: Penso che ormai ci siano dei vescovi riconosciuti dal Vaticano, e quindi si comincia ad avere degli avvicinamenti assai importanti anche con la Chiesa clandestina. La partecipazione alle messe tutti assieme è sempre più frequente. Il futuro vedrà allora i cattolici delle due chiese unite? La Chiesa è già una in Cristo – precisa -, ma certamente c’è fiducia che nel futuro vi sia vera unità. Lei sarà uno di questi fattori di unità? Se Dio vorrà. La Chiesa cinese si trova ora di fronte ad una grande sfida. I giovani sacerdoti cinesi hanno avuto l’intuizione importante di sostituire la parola missione con evangelizzazione, espressione più accettabile dal popolo e anche dal governo. Il campo è aperto, ed in esso già lavorano alacremente le Chiese della Riforma, che hanno conosciuto un vertiginoso sviluppo negli ultimi anni: Dai 700 mila fedeli che avevano nel 1949 – mi diceva il prof Yanli -, i protestanti sono ora passati a 70 milioni, forse 80. I cattolici, invece, dovrebbero essere circa 15 milioni. Il vescovo Xing Wenzhi mette però i puntini sulle i: I protestanti hanno stampato e distribuito 20 milioni di Bibbie. Un buon lavoro, senza dubbio. Ma è troppo facile essere battezzati in una delle loro chiese, a volta bastano pochi giorni. Da noi, invece, servono sei mesi minimo. E ciò si vede anche dal numero di coloro che, dopo essere stati battezzati, abbandonano il cristianesimo nei fatti. Purtroppo è vero che i nostri preti sono talmente impegnati nell’amministrare i sacramenti che spesso non hanno altro tempo. È perciò il tempo della evangelizzazione fatta dai laici. Zen: Il rischio del cardinale La cattedrale neogotica di Hong Kong si trova sommersa da immensi grattacieli.Ma non per questo pare fuori posto. L’edificio ha la sua dignità. È qui che mi ha dato appuntamento il nuovo cardinale di Hong Kong, Joseph Zen Zekiun. Il suo studio è particolarmente vissuto: libri e carte accatastati, souvenir di viaggi, le foto con gli ultimi due pontefici… Parliamo dapprima della funzione della Chiesa di Hong Kong nei confronti dei cattolici cinesi… Grazie alla provvidenza – mi risponde il cardinale – abbiamo sempre goduto di piena libertà, e negli anni Cinquanta quando vennero cacciati via tanti missionari dalla Cina di Mao, qui la Chiesa ha conosciuto una nuova fioritura. Quando Pechino ha cominciato ad aprirsi, i contatti si sono moltiplicati. Naturalmente, dopo tanti anni di separazione abbiamo dovuto anzitutto conoscere la situazione, costatando la spaccatura in due parti della Chiesa. La comunità cattolica di Hong Kong ha perciò sentito il dovere di venire in loro aiuto, in ogni modo possibile. Con nostra grande meraviglia, il governo ha permesso l’apertura dei seminari – seminari veri, in cui c’è disciplina e preghiera -, ed anche lì abbiamo potuto offrire degli insegnanti… Anch’io sono stato professore in questi seminari. Dicono che lei non sia molto tenero con coloro che governano oggi la città, e con le autorità cinesi in genere… In un mondo civilizzato – mi risponde – il popolo ha diritto di protestare. Quando ci sono ingiustizie dobbiamo alzare la voce. Purtroppo con gli inglesi, anche se non c’era vera democrazia, le libertà erano rispettate, la legge valeva qualcosa. Col passaggio della sovranità cinese, i dirigenti governano sotto il potere di Pechino, ma si alleano con i più ricchi della città a scapito del popolo povero. Sta invadendoci una cultura di egoismo e di menzogna davanti ai quali non si può stare zitti. La Chiesa allora si unisce al sentire del popolo. Come sarà la Chiesa in Cina tra dieci anni? Ci sono elementi per essere ottimisti ed altri per essere pessimisti. C’è un vuoto che va riempito, e chi ha un fondo buono nel cuore lo sente e cerca una fede… Ma il consumismo nel contempo penetra con forza, e con esso la corruzione. Cosa hanno da dare i cattolici cinesi alla Chiesa universale? Finora – insiste il cardinale Zen – hanno portato un esempio forte di fedeltà alla Chiesa. Il temperamento del nostro popolo è caratterizzato da umiltà, mansuetudine, laboriosità e pazienza; se il popolo avrà voce, potrà lavorare per la pace nel mondo.Ma se invece il popolo non comanderà, potrebbero accadere fatti incresciosi, e la divisione l’avrebbe vinta. Passiamo alle questioni più personali. Quando Benedetto XVI le ha detto che doveva diventare cardinale che emozioni ha provato? Sono ancora confuso in questo momento – ammette -. Mi sembra che non sia capitato a me, ma a qualcun altro. Avevo detto più volte che da cardinale la posizione sarebbe stata più imbarazzante, mentre da semplice vescovo forse potevo avere più contatto con i vescovi in Cina. Ma ora posso parlare con più autorità, questo sì. E conclude: In questo momento chiedo lo Spirito Santo, perché è stato un rischio farmi cardinale, come ha dimostrato la reazione negativa di Pechino. Ma negativa solo fino ad un certo punto. Il vicepresidente della associazione patriottica ha sì detto che la mia nomina è stata un atto di ostilità, e che io sono un pericolo per la Cina come Giovanni Paolo lo era stato per la Polonia. Ma ho reagito, tanto che lui ha modificato le sue dichiarazioni. Ora devo evitare di provocare le autorità, ma nel contempo non posso rinnegare quello che ho sempre detto. Per esempio qualcuno mi chiede: Allora lei parlerà meno della democrazia per favorire le relazioni diplomatiche fra Cina e Vaticano?. No, non posso rinunciare ad un valore per un altro valore. Non è facile, ma il papa ha rischiato a farmi cardinale, ha avuto coraggio. Benedetto XVI sa il fatto suo.

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