Ancora Afghanistan, ancora repressioni

Continua una vera e propria offensiva da parte del regime talebano contro ogni tipo di libertà, contro le scelte che, per così dire, hanno sapore di vita. Nell’occhio del ciclone questa volta il gioco degli scacchi. Il mese scorso il ministro dello Sport ha ufficialmente vietato il gioco degli scacchi in Afghanistan. Dietro a questa nuova imposizione sta il fantomatico quanto potente “Ministero della Propagazione della virtù e della Prevenzione del vizio” (Pvpv). Ministero che con le sue scelte sta lentamente – e pare inesorabilmente – erodendo il terreno di una qualsivoglia libertà di espressione e di pensiero non allineato. Il gioco degli scacchi viene dichiarato haram, cioè proibito (come la carne suina) secondo la sharia, come è interpretata dai talebani. Questa nuova disposizione chiude tutte le attività collegate alla Federazione afghana degli scacchi, attiva dal 2021 con sezioni sia maschili che femminili.
Qualche passo indietro. Il gioco degli scacchi è molto antico, pare vanti origine indiane e risalga al sesto secolo e.v., quando, durante la dinastia Gupta, l’India visse la sua età aurea. Fu un periodo segnato da notevoli realizzazioni in campo artistico, letterario, scientifico e politico. A quel tempo si diffuse il “chaturanga”, una sorta di battaglia fra due giocatori, dove i pezzi che muovevano rappresentavano unità militari, reparti con elefanti, carri, cavalleria e fanteria. Il gioco si diffuse in Persia con il nome di “Shāh māt” (da cui scacco matto), che in persiano significa: il re è morto. Gli arabi lo adottarono fin dall’VIII secolo e lo importarono nell’Europa Occidentale, dove, alla fine del XV secolo, furono fissate le regole valide ancora oggi. Il gioco è diffuso in 172 in Paesi e dalla seconda metà dell’800 si svolgono i campionati mondiali di scacchi. In questi tornei l’Afghanistan ha una sua storia; nel 2018 ha vinto nel gruppo D del Torneo Open la 43a Olimpiade di scacchi svoltasi a Batumi in Georgia.
Già durante il primo periodo talebano, dal 1996 al 2001, il gioco era considerato illegale ma, essendo molto popolare nel Paese, i giocatori si incontravano segretamente, rischiando la detenzione. Tollerato dopo il ritorno dei talebani al potere nel 2021 (anche se le donne non erano autorizzate a giocare) è ora definitivamente messo al bando come espressione di gioco d’azzardo, che in quanto tale è proibito dalla legge afghana e definito nel Corano come “atto malvagio”. Nel motivare la decisione, il portavoce del governo talebano, Atal Mashwani, ha citato argomenti tratti da un discorso dell’ayatollah Khomeini quando prese il potere in Iran nel 1979: «Il gioco degli scacchi nella sharia [legge islamica derivata dal Corano] è considerato una forma di gioco d’azzardo. Ci sono considerazioni religiose riguardo a tale sport». In generale il Corano, infatti, condanna il gioco d’azzardo, le scommesse e qualsiasi tipo di attività che induca a trascurare la preghiera o altri doveri religiosi e sociali. Una certa lettura della legge islamica, come quella talebana e quella del Gran Mufti dell’Arabia Saudita (dove, comunque il gioco non è considerato illegale) attribuisce al gioco degli scacchi queste prerogative.
La realtà afghana attuale sottolinea anche così le mire di un regime in cui la sharia talebana rappresenta l’unico quadro giuridico del Paese e legittima norme che limitano i diritti personali e le libertà della popolazione. Ricordiamo che il 21 agosto 2024, i talebani avevano annunciato una nuova legge morale che, fra l’altro, impone restrizioni all’abbigliamento e alle voci delle donne, proibisce di mostrare oggetti animati nei media (ad esempio, immagini di esseri umani e animali), e impone la preghiera congregazionale guidata dall’imam. È un presente che punta ad isolare il popolo in un castello fuori del tempo. Ma forse c’è di più, ci sono mire più sottili. È infatti risaputo che il gioco degli scacchi potenzia molte abilità cognitive come il pensiero strategico, la capacità di analisi e di soluzioni rapide, rafforza la memoria, la concentrazione e la gestione dello stress. Caratteristiche che un regime totalitario non ha nessun interesse a favorire.
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