Anche l’Italia a Beirut

Il presidente del consiglio Giuseppe Conte si è recato in Libano per riaffermare l’aiuto dell’Italia dopo l’esplosione del 4 agosto e l’impegno sullo scacchiere mediorientale in continuo movimento. C’è bisogno urgente di Europa  
Giuseppe Conte e il presidente del Libano Michel Aoun (AP Photo/Dalati Nohra, File)

Macron ci ha messo 2 giorni, Conte 35 per recarsi a Beirut dopo la tragedia immane del 4 agosto scorso al porto, che ha fatto, lo si ricorderà, circa 200 morti e più di 6 mila feriti, con la distruzione totale e parziale di circa 3 mila edifici nella capitale libanese. Ma la storia non inganna: la presenza francese in Libano ha ben altra consistenza di quella italiana. Anche se, dal 2006, il contributo del nostro Paese alle sorti del Libano è drasticamente aumentato con l’invenzione – proprio così – da parte dell’allora governo Prodi della Finul, la forza di interposizione Onu che ha di fatto messo fine all’ultimo conflitto israelo-libanese, o piuttosto israelo-iraniano (leggi Hezbollah) nella Terra dei cedri. Da allora la presenza italiana si è fatta assai cospicua e apprezzata a Beirut, anche economicamente. Un segno tangibile: i tifosi della nostra squadra nazionale di calcio sono drasticamente aumentati da quell’ormai lontano 2006.

Giuseppe Conte ha voluto confermare con la sua breve visita l’impegno dell’Italia per la missione “Emergenza cedri” lanciata all’indomani della tragedia del 4 agosto dal governo italiano: un massiccio invio di aiuti della Protezione civile italiana, tra cui i quattro voli speciali con 20 tonnellate di materiale sanitario e l’arrivo a Beirut delle navi San Giusto ed Etna per trasportare il materiale di un ospedale da campo per far fronte all’emergenza sanitaria. Conte, a onor del vero, si era fatto precedere nelle scorse settimane dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini e della viceministra degli Esteri, Emanuela Del Re.

Conte a Beirut ha visitato l’area del porto interessata all’esplosione, è salito a bordo della nave San Giusto e ha soprattutto incontrato le autorità libanesi, tutta la lunga fila di autorità che bisogna omaggiare nel corso di queste visite di Stato per non scontentare nessuno, il che è segno della complessità e dello stallo della politica libanese: dal presidente della Repubblica, Michel Aoun al presidente del Parlamento, Nabih Berri, dal presidente del Consiglio dimissionario, Hassan Diab, al presidente del Consiglio incaricato, Mustapha Adib. Il capo del governo ha inoltre visitato anche l’ospedale da campo dell’operazione “Emergenza Cedri” a Hadat e ha incontrato i vertici dell’operazione Unifil, in particolare il comandante gen. Stefano Del Col.

Nei colloqui politici si è ovviamente parlato della questione politica libanese, e d’accordo con Macron e Merkel, Conte ha insistito per una rapida soluzione dell’enigma governativo, con la formazione finalmente di una squadra di tecnici, indipendente dalle pressioni (e dalle corruzioni) dei vecchi governi. E avrà pure parlato coi dirigenti libanesi della complessa situazione mediorientale, sparigliata dall’accordo diplomatico tra Emirati e Israele, una evidente mossa anti-Iran studiata da Trump e dai suoi alleati, e non molto ben vista in Europa. Senza dubbio si sarà parlato, anche se nelle dichiarazioni ufficiali non ce n’è traccia, delle non troppo velate minacce di sanzioni internazionali contro le proprietà e gli interessi dei principali personaggi politici libanesi.

«È ora di guardare avanti e costruire la fiducia tra i cittadini, poi tra i cittadini e lo Stato per scrivere una nuova pagina nella storia del Libano – ha detto in effetti Conte durante una conferenza stampa al Palazzo Baabda, dopo il suo incontro col presidente Michel Aoun –. È una grande sfida, ma le autorità libanesi possono impegnarsi a favore di un processo di rinnovamento delle istituzioni e della governance, che peraltro rientrano nel quadro delle rivendicazioni del popolo e della comunità internazionale. L’Italia rispetta la sovranità del popolo libanese e gli starà accanto. Spera in una rapida formazione del governo, che sarà responsabile dell’avvio del cantiere di ricostruzione e dell’istituzione di un programma di riforme che risponda alle legittime richieste della popolazione. L’Italia contribuirà a garantire la stabilità e la crescita economica del Paese – ha concluso Conte, sottolineando che – il Libano ha il diritto di avere un futuro di pace e prosperità».

L’Unione europea, fortunatamente, continua così ad essere presente in Libano dopo la tragedia del 4 agosto. Si contano a decine i primi ministri e i ministri dei Paesi dell’Ue, Francia e Germania in testa, che sono atterrati a Beirut per continuare nell’opera di pressione, morale soprattutto, certo non militare come altri fanno, per ridare un futuro al Paese. Un futuro per quanto possibile democratico “alla libanese”, ma col superamento della ripartizione confessionale che si è ridotta a una “spartizione della torta” con un corteo inimmaginabile di corruzioni e malgoverno.

Conte non è sceso a Beirut solo per portare il suo sostegno umanitario e per un’opera europea di moral suasion nei confronti dei governanti locali; è sceso anche per difendere gli interessi economici italiani, a cominciare dalle ricerche petrolifere e di gas nel mare libanese (per una volta effettuate congiuntamente al “grande avversario” delle trivellazioni nel Mediterraneo e altrove, la francese Total), che sono in una fase di stallo per la presenza inquietante e minacciosa di Israele e Turchia nelle acque libanesi e cipriote. Oltre all’Eni, impegnata nelle trivellazioni, in Libano sono presenti anche Ansaldo, Fincantieri e numerose imprese di infrastrutture e costruzioni.

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