Amos Oz, onore al dramma eterno

Muore uno dei più noti scrittori israeliani, conosciuto quasi più come opinionista che come letterato. La sua esistenza in sé è un romanzo, tra due guerre combattute, il suicidio della madre, il sentimento pervasivo di tradimento

Era senza dubbio considerato uno dei più grandi scrittori israeliani. Amos Oz ci ha lasciti il 28 dicembre all’età di 79 anni. Molti l’hanno letto, ma ancor più ne hanno udito il nome sulle cronache politiche, perché nel momento in cui qualcosa di grave riguardava Israele – un attentato, una guerra, un bombardamento –, ecco che la sua persona veniva interpellata, al pari di Barenboim, di Yehoshua e di Grossman, i 4 intellettuali che, da decenni ormai, prendono posizione contro i più guerrafondai esponenti politici di Tel Aviv.

Esponente della seppur vaga e mutante sinistra sionista israeliana, lascia tuttavia un’opera letteraria notevole e premiatissima, una ventina romanzi e di raccolte di novelle, oltre a una mezza dozzina di saggi e a innumerevoli articoli apparsi sulla stampa di mezzo mondo. Con la sua morte scompare l’esponente più rappresentativo della cosiddetta “generazione di scrittori di Stato”, nata nel momento della creazione dello Stato di Israele, generazione che ha esplorato il grande dramma d’Israele: in che modo il sogno sionista collettivo dei loro anziani e le loro spinte individuali hanno retto la prova del tempo dinanzi alla realtà?

Prendete uno dei romanzi di Oz più noti, Giuda: l’azione si svolge ovviamente a Gerusalemme, tra il 1959 e il 1960, in un clima grigio e freddo. Gli spari dei militari della Legione araba appostati sulla linea del cessate il fuoco che divide la città risuonano spesso. Uno studente s’interroga sulla fede, che avverte sfuggirgli tra le dita. Fede in Dio, ma anche nel futuro, nel socialismo e nel sionismo. Un maestro disilluso ma non cinico e una donna più anziana di lui, madre e amante, lo accompagnano nella sua ricerca, popolata anche da due fantasmi: un uomo che non voleva la nascita d’Israele e un giovane morto al contrario perché Israele vivesse. La narrativa di Oz ha sempre girato attorno a questi temi, tra utopia sionista, nascita di Israele, confronto con il diverso da sé e irriducibile a sé stesso, il sacrificio, la punizione, il tradimento.

Nato il 4 maggio 1939 a Gerusalemme, in un minuscolo appartamento nel quartiere di Kerem Avraham, nel nord-est della città, sotto il controllo britannico, Amos Klausner è cresciuto in un ambiente modesto ma intellettuale. Suo padre, Arié Klausner, di Odessa (Ucraina), specialista in letteratura straniera ed ebraica, fu impiegato nella biblioteca del Monte Scopus, che divenne la National Library of Israel nel 1948. Sua madre, Fania, nata a Rovno, ucraina, laureata all’Università di Praga, ha insegnato letteratura e storia agli studenti delle scuole superiori. Entrambi parlavano una quantità impressionante di lingue. La famiglia era emigrata in Palestina negli anni ’30 e aveva conosciuto le difficoltà degli immigrati: Arié non aveva mai ottenuto il lavoro universitario che voleva e la mamma si era suicidata quando il piccolo Amos, figlio unico, aveva appena 13 anni. Un dramma da cui non si è mai più risollevato.

Pochi scrittori sono riusciti a elaborare una prosa tanto bella e tanto oscura, tanto immaginifica e tanto priva di speranza, tanto pulita e tanto dannata. La sola speranza nasceva nella mente del lettore per contrasto, leggendo le sue pagine: non è possibile che la realtà sia condannata in questo modo all’insignificanza. Combattente in due guerre e pacifista, a lungo abitante di un kibbutz, verbalmente ed esistenzialmente mite ma irriducibile nella sua testarda convinzione che Israele avesse il diritto all’esistenza, critico spietato di tanti primi ministri israeliani e “quasi ateo” nelle sue convinzioni, Oz resterà nel pantheon degli scrittori universalmente conosciuti soprattutto per il suo romanzo più autobiografico, quel Una storia di amore e di tenebra che racconta a modo suo il dramma del suicidio della madre.

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