America Latina: la possibilità di un conto in banca

Nei paesi del sud America la pandemia ha avuto l’effetto inatteso di accrescere notevolmente il numero di conti in banca. Sono in genere i poveri ad essere esclusi da questo tipo di servizio. E non sempre per ragioni accettabili.
Poveri davanti a una banca in Cile (AP Photo/Esteban Felix)

Un collega, sempre critico nei confronti delle banche, mi ripete spesso una provocazione che attribuisce al grande Bertolt Brecht: è più grave rapinare una banca o fondarne una? Ho pensato a lui quando sono apparse alcune recenti notizie che indicano che uno degli effetti imprevisti di questa pandemia in sud America è stato quello di indurre milioni di latinoamericani a integrarsi nel sistema bancario, aprendo un proprio conto. Immagino il collega commentare sornione questa notizia: “Questo è un bene o un male?”.

Diciamo subito, volendo guardare la parte piena del bicchiere, che è un bene perché altrimenti milioni di persone non avrebbero potuto riscuotere i sussidi pubblici distribuiti dai governi per far fronte alla grave crisi economica provocata dalla chiusura di molte attività produttive. La distribuzione degli aiuti in contanti avrebbe provocato problemi peggiori, assembramenti e le lunghe code davanti agli sportelli, come stava succedendo in El Salvador e in Brasile, aggravando i contagi.

Ma c’è di più. In Colombia, ad esempio, l’Asobancaria, che riunisce banche e società finanziarie, segnala che negli ultimi mesi 1,5 milioni di persone hanno aperto per la prima volta un conto. In Brasile tale numero è stato di circa 2,5 milioni ed anche in Cile si registra un incremento importante: rispetto al 2019, il numero di conti correnti è cresciuto tra il 30 ed il 40%. Persino nel piccolo Costa Rica, su 5 milioni di abitanti, 180 mila hanno aperto il loro primo conto in banca. Nella gran parte dei casi, i nuovi clienti sono domestiche e lavoratori autonomi che a causa della pandemia hanno dovuto sospendere, o hanno perso, il lavoro.

Un po’ dovunque l’apertura di nuovi conti bancari è stata semplificata con pratiche on line, mediante un cellulare ed un’identificazione digitale. In alcuni casi si tratta di conti a costo zero, in altri a basso costo. Dettaglio di rilievo, quest’ultimo, se si dà retta alla raccomandazione dell’Onu sulla necessità di estendere alle categorie sociali meno abbienti l’accesso al sistema bancario.

Sono circa 2 miliardi e mezzo, secondo la Banca Mondiale, le persone che ancora non hanno accesso a un conto in banca, il 75% dei poveri del mondo non ne ha uno. Spesso perché le istituzioni bancarie pretendono garanzie a copertura dei costi di gestione, pertanto accettano un cliente a condizione che riceva lo stipendio o la pensione direttamente sul conto. Ma questo lascia fuori chi non ha un impiego dipendente e formale, artigiani e chi lavora alla giornata. Una politica, tra l’altro, discutibile, perché quali sono in realtà i costi di gestione di un conto bancario?

Inoltre, non bisogna dimenticare quanti – e sono molti – dipendono dalle rimesse di parenti emigrati all’estero. Avere un conto in banca è un sollievo per le famiglie che dipendono molto dalle rimesse provenienti dagli Usa o dall’Europa. In Messico, Perú o Ecuador le rimesse sono parte essenziale del Pil nazionale. Nel caso messicano, nel 2019 sono arrivate a circa 36,5 miliardi di dollari le rimesse dall’estero; più di 3,3 miliardi di dollari sono arrivati in questo modo alle famiglie peruviane (quasi il 2% del Pil).

L’incremento di clientela ha pertanto l’effetto positivo di incrementare la disponibilità di risorse e di immettere nel sistema risparmi che possono essere usati per il compito tradizionale delle banche, quello di finanziare l’attività produttiva. Il che è di buon auspicio quando queste economie dovranno essere rilanciate.

Resta però da considerare la parte rimasta vuota del bicchiere. Entrare nel sistema bancario senza un’educazione finanziaria, pur minima, è rischioso. Non sempre i clienti comprendono la portata delle clausole contrattuali e delle offerte di credito presentate con un linguaggio seduttore, per esempio con tassi di interesse mensili e non annuali, in modo da sembrare bassi per poi rivelarsi, in realtà, esosi se non usurai. È il caso delle banche cilene, che pur in presenza di tassi di inflazione dell’1-2% annuo, offrono crediti di consumo al 24% ed oltre di interesse (senza contare che per i risparmi depositati, al contrario, offrono in questo momento meno dell’1% annuale).

C’è voluta una direttiva della Banca Centrale per imporre agli istituti bancari di non riscuotere, dai clienti che decidono di restituire un prestito prima del periodo convenuto, gli interessi del periodo non utilizzato. Nel frattempo, però, le banche non informano al riguardo. Come pure omettono di segnalare che nei crediti ipotecari, l’assicurazione copre anche i danni dell’immobile in caso di terremoto. Un dettaglio di tutto rilievo in un Paese ad intensa attività sismica come il Cile.

C’è ancora tanta strada da fare per riportare le banche sulla strada dello spirito di servizio che risponde a un diritto fondamentale, quello dell’accesso al credito. E per dimostrare –contraddicendo Brecht –, che fondare una banca può essere un atto virtuoso.

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