Erano gli anni ’60 del secolo scorso. Nella Germania Est si viveva un duro periodo, segnato dalla divisione del Paese e dal controllo economico da parte del blocco sovietico. Molti cittadini erano emigrati verso la Repubblica federale tedesca – uno dei motivi per cui nel 1961 fu costruito il muro di Berlino –, tra cui tanti laureati.
Nella Repubblica democratica tedesca (Rdt) c’era bisogno di ospedali, e questo faceva sì che il regime comunista tollerasse gli ospedali cattolici ed evangelici. In questo contesto, 8 medici membri del Movimento dei Focolari accolgono l’invito della sua fondatrice, Chiara Lubich, e si trasferiscono nella Germania orientale, non per convertire ma per servire. Una esperienza di duro lavoro giornaliero proprio per la mancanza di professionisti, e una profonda testimonianza cristiana.
Tra questi 8 vi è il dott. Giuseppe Di Giacomo, che dedica 32 anni della sua vita come medico anestesista negli ospedali della Rdt, e che ci racconta il suo vissuto.
In quali città hai svolto il tuo servizio?
Dopo essere stato a Berlino sono stato invitato dai direttori della Caritas e quello sanitario a trasferirmi a Erfurt per lavorare nell’ospedale cattolico con il compito di organizzare il servizio di anestesia e rianimazione. In quel tempo ero l’unico medico specializzato in anestesiologia della città di Erfurt, infatti in nessun ospedale vi erano anestesisti. L’ospedale aveva un pronto soccorso sempre aperto, notte e giorno, con una decina di medici. Erano tanti i problemi da affrontare sotto ogni aspetto. A volte dovevamo lavorare anche 15 giorni di seguito.
Come è stato possibile lavorare in una situazione così estenuante?
Ci sarebbe stato da scoraggiarsi se non avessi avuto un rapporto stretto e vitale con i miei colleghi focolarini che vivevano una situazione analoga alla mia. Nei brevi spazi di tempo libero ci trovavamo insieme e ognuno ripartiva spiritualmente e professionalmente arricchito. Le narcosi erano praticate da infermiere ed infermieri con tecniche superate da più di un decennio in Occidente! Un’altra difficoltà era farsi accettare alla pari con i medici chirurghi che non erano soliti avere al fianco un anestesista, una disciplina nuova che desiderava crearsi uno spazio, essere riconosciuta e dare il suo contributo.
Come si è evoluto il rapporto con gli altri colleghi?
Già dai primi mesi riuscii ad accattivarmi la simpatia e il rispetto della direzione e dei colleghi che potevano valutare tutti i vantaggi dell’anestesia moderna e delle sue tecniche nella chirurgia, nella terapia del dolore e nella reanimazione. Così, per la prima volta fu creato un modesto reparto interdisciplinare con 7 letti. Alcuni anni dopo fu creato un nuovo padiglione con un intero piano a disposizione del reparto di anestesia per la terapia intensiva che comprendeva 14 letti con camere singole e una sala di rianimazione. Tutto arredato con apparecchiature più moderne, dono della Caritas e delle diocesi dell’Ovest. Era un vero gioiello da attirare anche i colleghi della capitale.
Con il tempo mi è stata data la facoltà di specializzare 4 giovani laureati. Fin dall’inizio mi ero proposto di stabilire un rapporto con tutti coloro che lavoravano in ospedale, dall’elettricista al personale della pulizia. Cercavo di favorire un rapporto semplice con il personale infermieristico. Ciò era di aiuto per superare la fatica o lo stress a cui si è sottoposti in ambienti simili, spesso accanto a malati gravi.
Ogni giorno richiedeva un supplemento di energia. Non era sempre facile, ma senz’altro più facile per un cristiano che sa di servire in ogni prossimo Cristo sofferente. Per rafforzare questo contatto umano al di là del luogo di lavoro si facevano gite insieme, si festeggiavano compleanni, matrimoni, ecc. diverse volte l’anno.
Quale rilevanza ha avuto per te questa esperienza professionale?
Lasciata Erfurt per Lipsia era grande la reputazione raggiunta, tanto che dei colleghi dell’università statale preferivano curare i loro ammalti nel nostro reparto. Venivano richieste conferenze dalla regione e fui chiamato a far parte del consiglio provinciale per organizzare e pianificare i reparti di anestesia e trasfusionali di tutta la provincia.
Ma la gioia più grande era quando ammalti gravissimi potevano lasciare guariti il reparto. Ricevevo lettere che manifestavano la loro gratitudine. Dopo anni di lavoro ad Erfurt, il vescovo, negli auguri pasquali, scrisse: «Ho letto con grande interesse la vostra relazione ed è di gioia per me costatare che il vostro lavoro in ospedale è un aiuto di cui non se ne può più fare a meno».
Un assistente poco tempo prima di congedarmi mi scriveva, tra l’altro: «È difficile dire cosa lei sia stato per me in questi 7 anni. Desidero ringraziarla per la specializzazione che non avrei potuto fare meglio in nessun altro luogo come con lei. Oltre a ciò le sono grato per avermi trasmesso il suo personale e profondo rispetto umano sia riguardo alla professione che verso tutti gli uomini… Posso recarmi al lavoro con gioia anche nonostante i grandi o piccoli problemi. Qualche volta ricordo qualche colloquio avuto con lei che mi aiuta. Mi ha trasmesso molte cose che ora non posso concretizzare. Sono tuttavia orgoglioso d’averla avuto come maestro. Nel passato ho avuto pochi esempi da seguire… Lei è riuscito a rendermi consapevole di quanta gioia si può raggiungere attraverso l’aiuto e il donarsi agli uomini, sia al lavoro che privatamente…».
Sotto il regime comunista come hanno reagito le autorità?
Sono state fatte accurate indagini dai servizi segreti del Ministero degli Interni sul mio operato. Non capivano come delle persone che non intendevano far carriera o percepire un ricco stipendio potessero essere interessate a fare lì i medici.
Queste indagini sulla mia persona e sul Movimento dei Focolari a cui appartengo furono interrotte nel luglio 1986 con la motivazione che il Movimento ha un carattere puramente umanitario, e non avendo trovato elementi che evidenziassero una strumentalizzazione della vita della comunità per diffondere e sviluppare ideologie pacifiste.
Di me, negli atti della polizia segreta (Stasi) di cui ho avuto conoscenza pochi anni fa, c’è un lungo paragrafo che leggo solo in parte: «È un medico stimato ed apprezzato a tutti i livelli. Per le sue capacità è stato nominato primario di terapia intensiva. Ha avuto un’importanza determinante nel creare il reparto di terapia intensiva. Ha un carattere tranquillo, equilibrato e razionale, riservato. Si impegna oltre misura e con grande senso di responsabilità. Per giorni e giorni non si allontana dai suoi pazienti se hanno bisogno di lui. Per quanto riguarda i motivi che lo hanno indotto a vivere nella Rdt non sappiamo niente di definitivo, forse per contribuire all’edificazione del Movimento dei Focolari, movimento della Chiesa cattolica che ha l’obiettivo di vivere ed agire in base agli insegnamenti della fede. I suoi membri trasmettono alle persone gioia ed ottimismo…».
Certo con la vostra testimonianza e coerenza sono successe cose straordinarie…
Tutto è stato possibile attraverso gli anni, al di là delle proprie capacità umane. In fondo nel nostro cuore c’era il desiderio di far sentire in quanti incontravamo quell’amore del Padre che noi stessi avevamo scoperto. Attraverso le circostanze e la buona volontà di tanti, Egli ci ha permesso di concretizzare progetti per il bene dell’uomo anche là dove il regime dichiarava e desiderava inculcarne la Sua inesistenza.
E con la distruzione del muro di Berlino quale è stata la reazione della popolazione?
Quelli erano giorni turbolenti. Un episodio che mi è rimasto fortemente impresso: con un collega sono andato a far visita ad una coppia di conoscenti, docenti universitari comunisti convinti ed in buona fede. La trovammo disperata, tanto da decidere di togliersi la vita, vedendo tutti i loro ideali frantumarsi in un attimo. Le loro speranze erano crollate perché il capitalismo aveva vinto.
Abbiamo detto loro: «Non è andato tutto perduto, perché tutto ciò che è vero e sincero non può andare perduto… Valori umani positivi non possono morire e prima o poi saranno riconosciuti…». Lentamente i due si sono rasserenati e hanno ripreso coraggio.
In quei giorni la parola d’ordine che ci siamo proposti è stata: amare gli uni e gli altri, sia i vinti che i vincitori.
Grazie, fratello mio, del dono della tua preziosa e coraggiosa vita. Tanti anni siamo stati separati e ogni volta che ti sento aumenta in me l’ammirazione per tutto ciò che hai fatto, di cui qui solo poco mi hai donato. Non posso che essere felice di sapere che tanti hanno beneficiato della tua presenza e del riconoscimento di essere insignito dell’onorificenza di “Cavaliere della Repubblica italiana” conferitati a Lipsia nel 2000 dal console italiano.