Altro che nuvolette

Incontro con Marco Rizzo, emergente sceneggiatore e disegnatore siciliano. In giro per l'Italia con l'ultimo libro. «Lavorare per migliorare la storia».

Fumetti impegnati, per gli estimatori. Graphic novels, ovvero racconti disegnati, per i critici. Per Marco Rizzo, autore di storie dove il disegno presta il tratto alla cronaca, significa «dare un destino alle grandi idee, che prendono i tratti e i colori dell’impegno, della novità e della voglia di cambiamento». Con il libro a fumetti Ilaria Alpi, il prezzo della verità si è aggiudicato il premio Micheluzzi come miglior fumetto 2008 al Comicon di Napoli, il festival del fumetto e del cinema d’animazione. Ha pure realizzato il primo sito specializzato in fumetti (www.comicus.it), molto visitato e punto di riferimento nel settore. Da maggio gira l’Italia per presentare l’ultimo lavoro, Peppino Impastato, un giullare contro la mafia (Edizioni Becco giallo, 14,00).

 

Il suo destino è stato segnato da quella busta a sorpresa pescata in edicola, da bambino. Aprendola, Marco vi ha trovato le storie dei Supereroi dell’edizione Corno. E da lì è diventato un divorare di fumetti.

Siciliano di Trapani, venticinque anni, Marco è un promettente sceneggiatore e disegnatore che racconta la cronaca per immagini e non su un quotidiano. «Non so se in questo c’entra la mia sicilianità – spiega –, cioè l’esigenza di un impegno sociale a tutti i costi. Mi è sempre piaciuto raccontare la storia, la vita: il mio primo fumetto è stato sui fatti di Bronte, sulle rivolte dei contadini».

 

Come si trasferisce una storia in disegni?

«L’idea di un fumetto su Peppino Impastato, ad esempio, è colpa di mia madre. Mi ha fatto leggere un libro-intervista alla madre di Peppino. Non riuscivo a togliermela dalla testa e ci ho lavorato per due anni. Ho scelto però di raccontare alcuni episodi inediti incontrando il fratello e alcuni suoi amici».

 

Come crei le scene?

«È un lavoro senza sosta, perché si tratta di osservare. Per cui sei al mercato, guardi una signora fare la spesa e pensi di poter riprodurre la scena. Sei in fila alla posta e ti colpisce il viso del signore davanti a te. Ogni dettaglio diventa interessante e materia utile per il lavoro. Nel frattempo i personaggi che hai studiato continui a lasciarli recitare nella tua testa».

 

Soddisfatto del lavoro con Becco Giallo, la casa editrice di Padova specializzata nel settore?

«Apprezzo molto la scelta dell’editore di pubblicare autori emergenti e storie impegnate. Il mercato del fumetto, in Italia, è molto vivace anche se deve periodicamente riscattarsi dal cliché di genere per bambini. Il connubio di parole ed immagini riesce a creare storie che possono interagire anche con un pubblico adulto, fortunatamente sempre più in crescita».

 

Mercato in crescita. Dunque, hai tanti concorrenti?

«Molti giovani autori pensano che disegnare sia facile e non occorra leggere, studiare. Io mi sono fatto sommergere da tonnellate di libri e di film. Bisogna essere umili. Il lavoro è per me come una preghiera quotidiana e penso che queste opere continueranno a vivere dopo di noi. Per questo vorrei lasciare un’eredità d’impegno».

 

Perché la scelta della Alpi e di Impastato?

«Ilaria e Peppino sono stati coraggiosi. Non sono rimasti dietro il terminale di un pc, ma si sono messi in gioco del tutto. Ilaria, giornalista del Tg3, è andata in Mozambico, per capire come funzionava il traffico d’armi e di rifiuti tossici. Voleva informare per formare le coscienze. Lo stesso Peppino, nato in una famiglia mafiosa, ha voluto riscattarsi denunciando, dalla sua radio, il capomafia di Cinisi e gli affari illeciti che conduceva. Per me sono degli eroi».

 

Pensi che siano degli esempi per tutti?

«Oggi occorre lo stesso coraggio, magari nei piccoli gesti di ogni giorno, quando si va a votare, quando si fanno gli acquisti, quando sul lavoro non si cede ai compromessi. Da siciliano, sento che questa è la mia parte, magari piccola, nella lotta alla mafia e all’ingiustizia. È la mia, ed è diversa da quella dei poliziotti, dei magistrati; ma la partita si gioca su più fronti. Quando il lettore arriva a pagina 100 vorrei pensasse che la mafia fa schifo».

 

Ci sono state fermate brusche, incertezze nell’ultimo lavoro?

«Il momento più difficile è stato descrivere la morte di Peppino. Non volevo essere stucchevole, ma dovevo entrare nel dettaglio. Non volevo immagini crude e spaventose, ma desideravo colpire le persone. Mi sono accostato a Peppino con il massimo rispetto, per il personaggio, per chi lo ha conosciuto ed amato, per chi lo sta scoprendo e continua ad amarlo».

 

Per lavorare anche tu hai lasciato la Sicilia. Inevitabile?

«È stato difficile allontanarmi dalla mia terra e trasferirmi a Torino. Ne ho sofferto e ne soffro, ma non avevo alternative. A volte sembra da vigliacchi non restare e sbattere la testa come fanno tanti miei amici, ma sento che posso fare la mia parte anche dal Piemonte senza mollare. È, comunque, un bel momento. E poi, grazie al lavoro, ho conosciuto tanta gente bellissima che spende la vita per denunciare i soprusi e rendere migliore la storia».

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